Nella City scatta l’incertezza: «Ora Londra è l’anello debole»
Gli operatori: «Più semplice affrontare il nodo Italia che capire l’esito di Brexit»
«È più semplice affrontare il nodo Italia che capire come si potrà risolvere la questione Brexit». Delle due grandi incognite che al momento incombono sul futuro dell’Europa è il destino della Gran Bretagna e la sua uscita dall’Unione europea a preoccupare la comunità finanziaria ed è forse comprensibile che sia così: dopotutto siamo a Londra, in piena City, nel nuovo quartier generale di Schroders inaugurato la scorsa settimana proprio dalla Regina Elisabetta. E se la situazione di mercato che riguarda i BTp sembra aver passato la fase acuta e appare in un certo senso stabilizzata (Schroders ha anzi aumentato di recente l’esposizione verso il nostro debito), la Brexit viene ancora dipinta come un salto nel buio.
«Siamo arrivati al termine di un processo che è ancora allo stato iniziale», spiega non senza una certa dose di smarrimento e frustrazione Azad Zangana, Senior European Economist e Strategist di Schroders, riferendosi al voto sofferto con cui la premier britannica Theresa May ha due giorni fa strappato al suo governo il via libera all’accordo con Bruxelles. Tecnicamente, dopo la finalizzazione dell’accordo prevista per il 25 novembre e la ratifica attesa per il 10 dicembre si aprirebbe un periodo di transizione di ulteriori 21 mesi «al termine del quale – ricorda Zangana ai giornalisti riuniti a Londra per la Schroders international media conference – può essere raggiunto uno scenario di hard Brexit, come credo sia ancora nelle intenzioni di questo governo, oppure di soft Brexit, che invece ritengo una possibilità più remota perché presupporrebbe che un esecutivo laburista fosse in carica, evento poco probabile in un lasso di tempo così ristretto».
La situazione sarebbe dunque già di per sé non proprio semplice, ma potrebbe farsi ancora più complicata: «Allo stato attuale non mi sento di escludere né che il periodo di transizione possa protrarsi ulteriormente oltre la scadenza dei 21 mesi, né che si possa tornare indietro senza raggiungere del tutto un accordo con la Ue», avverte l’economista di Schroders, che assegna ancora quest’ultimo scenario una probabilità del 30 per cento. Azzardare previsioni rischia dunque di essere più complicato che azzeccare un terno al lotto e l’unica certezza, a sentire Zangana, è che la Brexit ha finora fatto male alla Gran Bretagna e alla sua economia, che «da una delle più forti è passata ad essere l’anello debole d’Europa a causa della recessione scatenata dall’impatto del crollo della sterlina sull’inflazione e sui consumi delle famiglie».
Il barometro ideale per misurare la pressione sui mercati lo fornisce la stessa valuta britannica, che viaggia adesso a 1,28 dollari quando prima del referendum del giugno 2016 era ben sopra quota 1,40. «In base a un sondaggio che abbiamo condotto presso le maggiori istituzioni finanziarie il mercato ritiene che il cambio possa scivolare fino a 1,10-1,12 in caso di hard Brexit e risalire invece fino a 1,40 se prevarrà la soluzione soft», aggiunge Zangana.
In mezzo ai due valori estremi esiste una sorta di «limbo» che rispecchia molto fedelmente anche i dubbi che attanagliano anche la stessa popolazione: secondo un recente sondaggio il Regno Unito si divide in maniera pressoché equa fra quanti offrono sostegno a Theresa May, quanti vogliono lasciare l’Europa senza alcun accordo e quanti invece si augurano di tornare alle urne con un referendum che annulli la Brexit. Difficile essere più divisi di così.
LONDRA