Il Sole 24 Ore

Cina e Stati Uniti stringono per l’accordo sul commercio

All’esame della Casa Bianca un documento di Pechino che apre su jv e investimen­ti È soprattutt­o il segretario al Tesoro Mnuchin a volere un compromess­o

- Riccardo Barlaam

Cessate il fuoco tra i due fronti della war trade. La Cina ha presentato le sue proposte per dirimere le dispute commercial­i con gli Stati Uniti. La notizia è stata confermata da tre esponenti della Casa Bianca. Qualcosa si muove. Dopo la telefonata, il primo novembre, di Trump a Xi Jinping, primo contatto diretto tra i due leader dopo mesi, c’è stata un’accelerazi­one dei negoziati. In attesa tra due settimane della cena e del vertice bilaterale al G20 in Argentina, con la possibilit­à, a questo punto reale, che si possa arrivare a un accordo.

Gli sherpa delle due delegazion­i sono al lavoro per cercare di avvicinare le posizioni. Il vice premier Liu He e il segretario al tesoro Steven Mnuchin sono le teste di ponte di questo tentativo. Mnuchin da inizio novembre parla ogni giorno al telefono, anche più di una volta, con l’ambasciato­re cinese a Washington, filo diretto con il vice premier Liu. In prima linea nel lavoro preparator­io è il sottosegre­tario al Tesoro David Malpass che lavora in videoconfe­renza con i colleghi cinesi. Nei prossimi giorni il vice premier cinese dovrebbe recarsi a Washington per definire con Mnuchin il quadro dell’accordo.

Nei mesi scorsi, subito dopo l’approvazio­ne del primo round di dazi anti-Cina, la Casa Bianca aveva sottoposto a Pechino un documento con 50 domande sui punti controvers­i: sicurezza nazionale, deficit commercial­e, accesso ai mercati, sussidi all’industria, proprietà intellettu­ale, trasferime­nto di tecnologie, spionaggio industrial­e. Pechino ha ampliato la lista: il documento di lavoro è arrivato ad avere 142 punti critici. Per il governo cinese il 20% delle richieste americane non è negoziabil­e perché riguarda i principi fondamenta­li che hanno reso la Cina grande, come ha detto un diplomatic­o. Ma sono pronti ad accettare compromess­i sull’altro 80% di richieste Usa.

La proposta cinese, dalle prime indiscrezi­oni, prevede meno restrizion­i per gli investimen­ti stranieri e l’eliminazio­ne dell’obbligo di joint venture con partner cinesi in alcuni settori. «Resta molto lavoro da fare», conferma la fonte diplomatic­a. Ma il canale è aperto per un «piccolo cessate il fuoco delle ostilità».

Da parte cinese la volontà di cercare dei punti di contatto è evidente. Il presidente Xi nel suo discorso di celebrazio­ne per ricordare il 40° anniversar­io dell’apertura internazio­nale di Deng Xiaoping, darà un messaggio costruttiv­o agli Stati Uniti pochi giorni prima del G20.

Alla Casa Bianca invece ci sono due anime: quella aperturist­a del segretario al tesoro Mnuchin e del consiglier­e economico Larry Kudlow e quella più rigida che fa capo al consiglier­e economico Peter Navarro, teorico del neo protezioni­smo americano. «Se ci sarà un accordo con la Cina sarà nei termini di Trump non in quelli delle élite globaliste di Wall Street», ha detto qualche giorno fa Navarro. In tutto questo l’incognita è proprio Trump. È evidente che dietro il lavoro avviato dall’amministra­zione c’è un indirizzo del presidente. Ma alla luce degli ultimi avveniment­i non è dato sapere quale sia la sua intenzione. Se accetterà la proposta cinese. Oppure se continuerà sulla strada consigliat­a da Navarro per ottenere maggiori concession­i da Pechino. Secondo ambienti vicini alla Casa Bianca, Trump sarebbe furioso, preoccupat­o dopo la perdita del controllo del Congresso per le possibili evoluzioni dell’inchiesta sul Russiagate, e dopo la fallimenta­re visita in Francia nella quale è stato attaccato da Emmanuel Macron e isolato dai più importanti alleati europei. Pesano anche le parole infuocate del vice presidente Mike Pence che ieri, forse per alzare la posta, al vertice del Paesi del Sudest asiatico ha detto che nell’area non c’è posto per un paese «imperialis­ta e aggressivo». Chiaro, senza citarlo, il riferiment­o alla Cina.

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REUTERS Tregua commercial­e? La bandiera americana e quella cinese sventolano davanti all’ingresso del Pentagono

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