Cina e Stati Uniti stringono per l’accordo sul commercio
All’esame della Casa Bianca un documento di Pechino che apre su jv e investimenti È soprattutto il segretario al Tesoro Mnuchin a volere un compromesso
Cessate il fuoco tra i due fronti della war trade. La Cina ha presentato le sue proposte per dirimere le dispute commerciali con gli Stati Uniti. La notizia è stata confermata da tre esponenti della Casa Bianca. Qualcosa si muove. Dopo la telefonata, il primo novembre, di Trump a Xi Jinping, primo contatto diretto tra i due leader dopo mesi, c’è stata un’accelerazione dei negoziati. In attesa tra due settimane della cena e del vertice bilaterale al G20 in Argentina, con la possibilità, a questo punto reale, che si possa arrivare a un accordo.
Gli sherpa delle due delegazioni sono al lavoro per cercare di avvicinare le posizioni. Il vice premier Liu He e il segretario al tesoro Steven Mnuchin sono le teste di ponte di questo tentativo. Mnuchin da inizio novembre parla ogni giorno al telefono, anche più di una volta, con l’ambasciatore cinese a Washington, filo diretto con il vice premier Liu. In prima linea nel lavoro preparatorio è il sottosegretario al Tesoro David Malpass che lavora in videoconferenza con i colleghi cinesi. Nei prossimi giorni il vice premier cinese dovrebbe recarsi a Washington per definire con Mnuchin il quadro dell’accordo.
Nei mesi scorsi, subito dopo l’approvazione del primo round di dazi anti-Cina, la Casa Bianca aveva sottoposto a Pechino un documento con 50 domande sui punti controversi: sicurezza nazionale, deficit commerciale, accesso ai mercati, sussidi all’industria, proprietà intellettuale, trasferimento di tecnologie, spionaggio industriale. Pechino ha ampliato la lista: il documento di lavoro è arrivato ad avere 142 punti critici. Per il governo cinese il 20% delle richieste americane non è negoziabile perché riguarda i principi fondamentali che hanno reso la Cina grande, come ha detto un diplomatico. Ma sono pronti ad accettare compromessi sull’altro 80% di richieste Usa.
La proposta cinese, dalle prime indiscrezioni, prevede meno restrizioni per gli investimenti stranieri e l’eliminazione dell’obbligo di joint venture con partner cinesi in alcuni settori. «Resta molto lavoro da fare», conferma la fonte diplomatica. Ma il canale è aperto per un «piccolo cessate il fuoco delle ostilità».
Da parte cinese la volontà di cercare dei punti di contatto è evidente. Il presidente Xi nel suo discorso di celebrazione per ricordare il 40° anniversario dell’apertura internazionale di Deng Xiaoping, darà un messaggio costruttivo agli Stati Uniti pochi giorni prima del G20.
Alla Casa Bianca invece ci sono due anime: quella aperturista del segretario al tesoro Mnuchin e del consigliere economico Larry Kudlow e quella più rigida che fa capo al consigliere economico Peter Navarro, teorico del neo protezionismo americano. «Se ci sarà un accordo con la Cina sarà nei termini di Trump non in quelli delle élite globaliste di Wall Street», ha detto qualche giorno fa Navarro. In tutto questo l’incognita è proprio Trump. È evidente che dietro il lavoro avviato dall’amministrazione c’è un indirizzo del presidente. Ma alla luce degli ultimi avvenimenti non è dato sapere quale sia la sua intenzione. Se accetterà la proposta cinese. Oppure se continuerà sulla strada consigliata da Navarro per ottenere maggiori concessioni da Pechino. Secondo ambienti vicini alla Casa Bianca, Trump sarebbe furioso, preoccupato dopo la perdita del controllo del Congresso per le possibili evoluzioni dell’inchiesta sul Russiagate, e dopo la fallimentare visita in Francia nella quale è stato attaccato da Emmanuel Macron e isolato dai più importanti alleati europei. Pesano anche le parole infuocate del vice presidente Mike Pence che ieri, forse per alzare la posta, al vertice del Paesi del Sudest asiatico ha detto che nell’area non c’è posto per un paese «imperialista e aggressivo». Chiaro, senza citarlo, il riferimento alla Cina.