Per commercialisti e Uil troppe distorsioni nella flat tax
Flat tax con effetti distorsivi su più fronti. A fare i calcoli sull’impatto dell’estensione del regime forfettario e della nuova tassa piatta - pari al 15% per i redditi entro i 65mila euro nel 2018 e del 20% per quelli entro i 100mila euro dal 2019 - sono stati sia il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti che i sindacalisti della Uil. Alla Uil proprio non va giù che le partite Iva si troveranno ad avere una tassazione molto più leggera dei lavoratori dipendenti. Un disallineamento che cresce con l’aumentare del reddito e che può superare il 50 per cento. I conti sono presto fatti: per un reddito di 20mila euro, tassato al 15% l’aliquota da versare è pari a 3mila euro, mentre il dipendente, che ricordiamo, viene tassato per scaglioni di reddito, sconta un’aliquota marginale del 27% e versa di Irpef 3.257 euro; la forbice si allarga se il reddito è pari a 45mila euro: l’autonomo con la flat tax verserà 6.750 euro mentre per il dipendente - con un’aliquota marginale del 38% - l’imposta sarà di 14.039 euro.
La Uil ricorda che la progressività è un «valore costituzionalmente stabilito» e lo resterà solo per dipendenti e pensionati, che peraltro «da soli versano oltre il 94% del gettito Irpef». Il discorso non cambia per la tassa piatta al 20% sui redditi entro i 100mila euro.
Il confronto che fanno i dottori commercialisti è tra regime ordinario e regime forfettario. Dai loro calcoli si evidenzia che i vantaggi più consistenti saranno per i lavoratori autonomi iscritti ad Albi operanti come collaboratori con partita Iva. Per loro si prevedono risparmi fino ai 12.500 euro.
Prendiamo il caso di compensi per 30mila euro per gli iscritti all’Albo: tolti i costi (1.500 euro) e i contributi (3.420 euro), per Irpef e addizionali andranno versati 6.015 euro che scendono a 3.089 nel regime a forfait. Per compensi pari a 65mila euro chi sceglie la tassa piatta verserà 12.675 euro in meno rispetto al collega “ordinario”. In termini complessivi i risparmi per i contribuenti nel 2019 ammonteranno a 331 milioni, per poi salire a 1,9 miliardi nel 2020, 2,5 miliardi nel 2021 e assestarsi a 2,23 miliardi dal 2022.
Peri commercialisti questa norma incentiva, in modo implicito, alla disaggregazione degli studi professionali associati. E ciò accadrà perché potranno avvalersi dell’ ampliamento del regime forfettario le partite Iva individuali con fatturato compreso tra 30 mila e 100 mila euro se non partecipanocontemporaneamente a società di perso neo a responsabilità limitata, ad associazioni professionali e a imprese familiari. Un invito alla “parcellizzazione” che, dato l’attuale scenario economico, pare anacronistico.
Un’altra distorsione riguarda i single rispetto a chi ha familiari a carico: il vantaggio della tassa piatta al 15% per questi ultimi - denunciano i commercialisti - si ridurrà di qualche centinaio di euro. C’è poi un’ultimo aspetto che il sindacato sottolinea: gli autonomi saranno incentivati a fare il “nero” per evitare di superare il tetto del reddito e uscire dal forfait.