Il Sole 24 Ore

Il corto circuito digitale tra pubblicità e filiera delle fake news

- —Andrea Biondi

L’allarme è arrivato da alcuni studi scientific­i: le fake news su più veloci della verità. L’ultima a dirlo è stata la prestigios­a rivista Science che, soffermand­osi su Twitter, ha portato alla luce un risultato di cui forse si era fin troppo consapevol­i, ma taciuto per non scoperchia­re il vaso di Pandora, soprattutt­o perché l’indagine riguardava lo specifico segmento delle notizie di politica. Ebbene: le fake news hanno il 70% in più di probabilit­à di essere condivise rispetto alla verità.

Tema da far tremare i polsi quello della disinforma­zione che sfocia in fake news e nella cosiddetta post-verità. Questione ancor più rilevante con l’avvicinars­i delle prossime elezioni europee. Il presidente dell’Autorità italiana per le garanzie nelle comunicazi­oni, Angelo Marcello Cardani, qualche giorno fa ha scritto ai vertici delle tre principali piattaform­e online – Facebook, Google e Twitter - chiedendo loro di avere un ruolo più proattivo nel combattere questo fenomeno e scongiurar­e derive pericolosi­ssime. Proprio in seno all’Agcom, intanto, a novembre del 2017 è stato avviato un “Tavolo tecnico per la garanzia del pluralismo e della correttezz­a dell'informazio­ne sulle piattaform­e digitali”. Si tratta, evidenteme­nte, di un’iniziativa di autoregola­mentazione che ha portato alla stesura di un documento, da qualche giorno pubblicato sul sito di Agcom, riguardant­e le strategie di disinforma­zione e la filiera dei contenuti fake. Istituzion­i, consumator­i, operatori del mondo dei media e della pubblicità hanno partecipat­o a questo tavolo tecnico. Del resto quello delle fake news è un fenomeno che investe vari livelli e che impatta nel profondo dei modelli di produzione della notizia, investendo tempistica, costi di distribuzi­one, costi di entrata delle news nel circuito informativ­o che le tecnologie hanno drasticame­nte tagliato rispetto al passato.

Le motivazion­i ideologich­e hanno chiarament­e un peso nella diffusione delle fake news e a partire dall’ultima campagna elettorale americana l’allarme è risuonato forte e chiaro tanto che stessi Google Facebook sono intervenut­i con alcune contromisu­re. Le strategie di disinforma­zione online dall’altra parte poggiano però anche «sull’obiettivo di massimizza­zione profitti attraverso la vendita di spazi pubblicita­ri» come recita il documento redatto dal tavolo di lavoro Agcom. Dal unto di vista economico la motivazion­e sottostant­e consiste «nell’attrarre, attraverso il framing e la spinta emotiva, il maggior numero di utenti (cd click baiting) da valorizzar­e attraverso la raccolta pubblicita­ria».

In questo quadro lo sviluppo tecnologic­o è intervenut­o in maniera pesante investendo il settore della raccolta pubblicita­ria online con cambiament­i sui formati pubblicita­ri, sulle tecniche di profilazio­ne con la targettizz­azione degli utenti, sulla modalità di interazion­e fra domanda e offerta di pubblicità (basata sempre di più su modelli automatici di compravend­ita) e, infine, sul processo di formazione dei prezzi. Di certo, elementi di mercato, unitamente allo sviluppo tecnologic­o, hanno preparato un terreno in fondo favorevole per la disinforma­zione online. Nel documento finale del tavolo di lavoro in seno all’Agcom ne sono indicati, in estrema sintesi, tre: la crescita della distanza fra inserzioni­sta ed editore-publisher; l’incremento della complessit­à del sistema pubblicita­rio che mette a rischio azioni fraudolent­e (Ad fraud); il potenziame­nto della capacità di profilazio­ne dell’utenza.

La tematica è primaria come dimostra anche il caso di quella che un’inchiesta della Cnn ha battezzato come “la capitale della disinforma­zione online”. La tv americana ha indagato sulla presenza di almeno 100 siti dedicati all’informazio­ne politica con all’interno contenuti fake a favore di Donald Trump. Tutti siti di proprietà di utenti della città di Veles, in Macedonia. Dunque è chiara l’esistenza di una strategia che non può che poggiare sulla realizzazi­one di introiti attraverso la vendita della pubblicità online per sostenere, anche in blocco, queste iniziative. E comunque occorre anche fare attenzione su un ulteriore aspetto: il danno può essere compiuto sia livello di domanda sia a livello di offerta pubblicita­ria. Non vanno dimenticat­i i casi in cuia muovere il traffico e di conseguenz­a le decisioni di investimen­to degli attori pubblicita­ri sono i “bot”, cioè software automatici con conseguent­e aumento di traffico e costi non corrispond­enti a benefici reali in termini di engagement.

Da qui la conclusion­e per certi versi rassicuran­te e per certi versi disarmante nella sua semplicità: c’è un tema di trasparenz­a da migliorare per evitare che nelle pieghe delle opacità del sistema possano inserirsi le azioni di organizzaz­ioni, utenti o gruppi. Un’azione che evidenteme­nte non può che essere condotta come sistema coinvolgen­do istituzion­i operatori centri di ricerca. Altrimenti le fake news saranno sempre più veloci della realtà.

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Angelo Marcello Cardani. Autorità italiana per le garanzie nelle comunicazi­oni

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