Il Sole 24 Ore

«Un Piano Marshall per ridare sviluppo all’Europa»

- Antonella Olivieri

L’Europa ha bisogno in un nuovo “Piano Marshall” per tornare a crescere, creare occupazion­e e dimostrare di essere la potenza che è. Marco Tronchetti Provera è convinto che per uscire dalle secche della stagnazion­e occorra varare un grande piano infrastrut­turale su scala continenta­le «perché l’Europa non è mai stata unificata davvero e l’unione, come dimostra la storia, la fanno le infrastrut­ture». Tronchetti è alla guida di un gruppo multinazio­nale e, come tutti gli imprendito­ri che lavorano sui mercati internazio­nali, è preoccupat­o per le guerre commercial­i e per il rallentame­nto dell’economia in atto, soprattutt­o in Europa.

Cosa succede nel mondo? L’Europa è la regione più ricca, con la più alta protezione sociale. Ma per piccoli interessi locali compromett­e la sua crescita economica e il suo ruolo geopolitic­o. E rischia di diventare marginale rispetto alle grandi potenze: Cina, Russia e Stati Uniti. Quello che inquieta di più è l’assoluta mancanza di attenzione della politica in Europa al serio rischio che stiamo correndo di rientrare in un periodo recessivo.

E, quindi, bisogna rassegnars­i? Se l’Europa avesse uno scatto di dignità e culturale tornerebbe a ragionare sui fondamenta­li, lancerebbe un grande piano infrastrut­turale e creerebbe valore per tutti. Un progetto di ampio respiro non avrebbe difficoltà a essere finanziato da tutte le grandi banche internazio­nali. L’esempio è la riunificaz­ione delle due Germanie. La ricchezza della Germania nasce anche attraverso una riunificaz­ione industrial­e che si è basata sulle infrastrut­ture e che è stata finanziata dall’Europa.

E perché allora non si replica su scala continenta­le?

Ci vorrebbe una visione illuminata, che non c’è. L’ultimo che l’ha avuta è stato Jacques Delors. Chi è venuto dopo di lui ha solo favorito l’occupazion­e dell’Europa da parte delle burocrazie nazionali dei diversi Paesi. Ha creato un sistema di regole dove il rigore ha distrutto la crescita invece di promuovere lo sviluppo e l’integrazio­ne. Con la follia di unire la moneta senza unire veramente l’economia. Si è proceduto a un allargamen­to prematuro a 27 che ha bloccato il sistema in assenza di un quadro infrastrut­turale comune. Per non parlare della difesa, della politica estera, della politica energetica. Ogni Paese va per la sua strada, in ordine sparso, a tutela di interessi locali che ancora oggi sembrano prevalere.

E allora? È un’alternativ­a praticabil­e sganciarsi dall’euro?

La moneta unica è un fatto. Va utilizzata in modo positivo, anziché negativo come spesso è avvenuto. Con gli individual­ismi nessun Paese va lontano. Da soli si rischia di diventare la pedina di una scacchiera dove il gioco è in mano ad altri.

Non sembra essere però questa la visione più popolare.

La ricchezza si crea con il lavoro, non in altro modo. Ma non si può sottovalut­are il valore fondamenta­le della fiducia. Il denaro speso per “costruire” produce un effetto emulativo immediato. Così come produce un effetto emulativo, in negativo, la fuga dei capitali che è in atto: se escono capitali, gli investitor­i esteri se ne vanno e anche gli italiani non investono. Uno Stato indebitato non può finanziare gli investimen­ti, l’Europa invece può. È questo il cambiament­o che ci vuole: dall’Europa del rigore all’Europa dello sviluppo, favorendo l’impresa piccola o grande che sia. Sono d’accordo che l’Europa debba cambiare, ma per costruirne una più forte, non per distrugger­la. Con, e non contro, l’Europa.

Passiamo al “particolar­e”. Pirelli è stato l’unico player del settore a non lanciare un profit warning e a confermare gli obiettivi. Convinto della scelta fatta con il matrimonio cinese?

I risultati dimostrano che Pirelli si è costruita sul mercato una posizione tecnologic­a e di modello di business che la pone al di fuori delle dinamiche che penalizzan­o i principali nostri competitor. Pirelli è leader nell’alto e nell’al-

tissimo di gamma, segmento meno esposto alle crisi, dal quale proviene oltre il 64% dei ricavi e l’83% dell’Ebit, con il 75% delle vendite che viene dal ricambio. Questo è un punto di forza: anche se il mercato dell’auto rallenta, gli pneumatici vanno comunque cambiati. E Pirelli è l’unico produttore di pneumatici esclusivam­ente focalizzat­o sul consumer: non produciamo pneumatici per mezzi agricoli, per macchine movimento terra, mezzi pesanti o autocarri. La collaboraz­ione con ChemChina va benissimo: abbia-

mo rispettato tutti gli impegni presi.

Camfin si è divisa in due, separando le partecipaz­ioni dei due rami nella quale era stata nel frattempo suddivisa l’attività di Pirelli. Il segmento industrial da una parte, con la costituzio­ne di Prometeon Tyre Group, e il consumer, l’attuale Pirelli, dall’altra. Conferma di un destino diverso per le due partecipaz­ioni?

Le due Camfin hanno azionariat­i che stanno differenzi­andosi. Camfin Industrial detiene la partecipaz­ione indiretta in Prometeon di cui è prevista l’integrazio­ne con le attività di Aeolus in Cina. Camfin invece continuerà a detenere una partecipaz­ione in Pirelli intorno al 10 per cento. Ricordo che per cambiare lo statuto, trasferire la sede dall’Italia e le tecnologie, occorre una maggioranz­a superiore al 90 per cento.

Un’ultima domanda. In Telecom si è posto di nuovo con prepotenza il tema della rete. Sulla contrariet­à allo scorporo lei si è giocato l’azienda.

Ai tempi abbiamo cercato di unirci a Telefonica e Sky perché questo avrebbe garantito, con una forte presenza italiana, una base più ampia di clienti e l’accesso a contenuti premium. La convergenz­a Tlc-contenuti l’avevamo vista con molto anticipo. Avrebbe consentito di far crescere la top line che è il vero tema delle Tlc europee. La politica la bloccò. Torniamo sempre al punto di prima: anche le Tlc sono un tema europeo. Per competere da protagonis­ti occorre integrare maggiormen­te le nostre strutture economiche.

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Marco Tronchetti Provera
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Marco Tronchetti Provera. Chief executive officer di Pirelli dal 1992

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