«Un Piano Marshall per ridare sviluppo all’Europa»
L’Europa ha bisogno in un nuovo “Piano Marshall” per tornare a crescere, creare occupazione e dimostrare di essere la potenza che è. Marco Tronchetti Provera è convinto che per uscire dalle secche della stagnazione occorra varare un grande piano infrastrutturale su scala continentale «perché l’Europa non è mai stata unificata davvero e l’unione, come dimostra la storia, la fanno le infrastrutture». Tronchetti è alla guida di un gruppo multinazionale e, come tutti gli imprenditori che lavorano sui mercati internazionali, è preoccupato per le guerre commerciali e per il rallentamento dell’economia in atto, soprattutto in Europa.
Cosa succede nel mondo? L’Europa è la regione più ricca, con la più alta protezione sociale. Ma per piccoli interessi locali compromette la sua crescita economica e il suo ruolo geopolitico. E rischia di diventare marginale rispetto alle grandi potenze: Cina, Russia e Stati Uniti. Quello che inquieta di più è l’assoluta mancanza di attenzione della politica in Europa al serio rischio che stiamo correndo di rientrare in un periodo recessivo.
E, quindi, bisogna rassegnarsi? Se l’Europa avesse uno scatto di dignità e culturale tornerebbe a ragionare sui fondamentali, lancerebbe un grande piano infrastrutturale e creerebbe valore per tutti. Un progetto di ampio respiro non avrebbe difficoltà a essere finanziato da tutte le grandi banche internazionali. L’esempio è la riunificazione delle due Germanie. La ricchezza della Germania nasce anche attraverso una riunificazione industriale che si è basata sulle infrastrutture e che è stata finanziata dall’Europa.
E perché allora non si replica su scala continentale?
Ci vorrebbe una visione illuminata, che non c’è. L’ultimo che l’ha avuta è stato Jacques Delors. Chi è venuto dopo di lui ha solo favorito l’occupazione dell’Europa da parte delle burocrazie nazionali dei diversi Paesi. Ha creato un sistema di regole dove il rigore ha distrutto la crescita invece di promuovere lo sviluppo e l’integrazione. Con la follia di unire la moneta senza unire veramente l’economia. Si è proceduto a un allargamento prematuro a 27 che ha bloccato il sistema in assenza di un quadro infrastrutturale comune. Per non parlare della difesa, della politica estera, della politica energetica. Ogni Paese va per la sua strada, in ordine sparso, a tutela di interessi locali che ancora oggi sembrano prevalere.
E allora? È un’alternativa praticabile sganciarsi dall’euro?
La moneta unica è un fatto. Va utilizzata in modo positivo, anziché negativo come spesso è avvenuto. Con gli individualismi nessun Paese va lontano. Da soli si rischia di diventare la pedina di una scacchiera dove il gioco è in mano ad altri.
Non sembra essere però questa la visione più popolare.
La ricchezza si crea con il lavoro, non in altro modo. Ma non si può sottovalutare il valore fondamentale della fiducia. Il denaro speso per “costruire” produce un effetto emulativo immediato. Così come produce un effetto emulativo, in negativo, la fuga dei capitali che è in atto: se escono capitali, gli investitori esteri se ne vanno e anche gli italiani non investono. Uno Stato indebitato non può finanziare gli investimenti, l’Europa invece può. È questo il cambiamento che ci vuole: dall’Europa del rigore all’Europa dello sviluppo, favorendo l’impresa piccola o grande che sia. Sono d’accordo che l’Europa debba cambiare, ma per costruirne una più forte, non per distruggerla. Con, e non contro, l’Europa.
Passiamo al “particolare”. Pirelli è stato l’unico player del settore a non lanciare un profit warning e a confermare gli obiettivi. Convinto della scelta fatta con il matrimonio cinese?
I risultati dimostrano che Pirelli si è costruita sul mercato una posizione tecnologica e di modello di business che la pone al di fuori delle dinamiche che penalizzano i principali nostri competitor. Pirelli è leader nell’alto e nell’al-
tissimo di gamma, segmento meno esposto alle crisi, dal quale proviene oltre il 64% dei ricavi e l’83% dell’Ebit, con il 75% delle vendite che viene dal ricambio. Questo è un punto di forza: anche se il mercato dell’auto rallenta, gli pneumatici vanno comunque cambiati. E Pirelli è l’unico produttore di pneumatici esclusivamente focalizzato sul consumer: non produciamo pneumatici per mezzi agricoli, per macchine movimento terra, mezzi pesanti o autocarri. La collaborazione con ChemChina va benissimo: abbia-
mo rispettato tutti gli impegni presi.
Camfin si è divisa in due, separando le partecipazioni dei due rami nella quale era stata nel frattempo suddivisa l’attività di Pirelli. Il segmento industrial da una parte, con la costituzione di Prometeon Tyre Group, e il consumer, l’attuale Pirelli, dall’altra. Conferma di un destino diverso per le due partecipazioni?
Le due Camfin hanno azionariati che stanno differenziandosi. Camfin Industrial detiene la partecipazione indiretta in Prometeon di cui è prevista l’integrazione con le attività di Aeolus in Cina. Camfin invece continuerà a detenere una partecipazione in Pirelli intorno al 10 per cento. Ricordo che per cambiare lo statuto, trasferire la sede dall’Italia e le tecnologie, occorre una maggioranza superiore al 90 per cento.
Un’ultima domanda. In Telecom si è posto di nuovo con prepotenza il tema della rete. Sulla contrarietà allo scorporo lei si è giocato l’azienda.
Ai tempi abbiamo cercato di unirci a Telefonica e Sky perché questo avrebbe garantito, con una forte presenza italiana, una base più ampia di clienti e l’accesso a contenuti premium. La convergenza Tlc-contenuti l’avevamo vista con molto anticipo. Avrebbe consentito di far crescere la top line che è il vero tema delle Tlc europee. La politica la bloccò. Torniamo sempre al punto di prima: anche le Tlc sono un tema europeo. Per competere da protagonisti occorre integrare maggiormente le nostre strutture economiche.