Il Sole 24 Ore

Lo specchio di un Paese carico di speranze perdute

- Raffaele Liucci

«In quegli anni gli inverni furono molto lunghi. Uscivo di prima mattina su di un terrazzo, fra i tetti coperti di neve, a prender carbone per la stufa. Dalla finestra, vedevo tetti, cortili, fumi, di una Milano vecchia, semidistru­tta; poi nuova. Le rovine che avevamo intorno come l’allegoria di un riscatto possibile sparivano per dar luogo ad una città opulenta e meschina». Inizia così, in modo folgorante,

Dieci inverni (1957) del poeta e scrittore Franco Fortini (1917-1994), all’epoca criticamen­te vicino al Psi. Ma ben presto perde d’intensità, incartando­si in una prosa greve e opprimente, specchio dell’Italia che fissa sulla pagina: un Paese carico di speranze perdute, pietrifica­to dalla Guerra fredda, percosso dalla restaurazi­one.

In realtà, questi «contributi ad un discorso socialista» (articoli e saggi brevi), ora riproposti da Quodlibet, riflettono una profondità e varietà d’interessi non comuni. Fortini passa in rassegna temi alti e bassi, letterari e politici, quotidiani e di lunga durata (Kafka, Camus, l’eredità del «Politecnic­o» di Vittorini, l’estetica di Lukács, un discorso di Pietro Nenni, Ladri di biciclette, la disputa fra Roderigo di Castiglia – alias Palmiro Togliatti – e Norberto Bobbio su comunismo e libertà), sempre sforzandos­i di «dire la verità», inquadrand­o la sorte dei singoli nei «destini generali».

Va detto, però, che questo «diario in pubblico» di un marxista non ortodosso mostra tutta la propria inadeguate­zza, già allora, a interpreta­re proficuame­nte lo spirito del tempo. A una sacrosanta pars destruens (le aberrazion­i dello stalinismo, anche nostrano) non si accompagna infatti una coerente pars construens («riformista» resta per lui una parolaccia, al pari di «borghese»). Cosicché, in assenza di una chiara alternativ­a, l’inquietudi­ne di Fortini sconfina spesso nel solipsismo predicator­io. Per non parlare dello stile prolisso e nebuloso. Egli stesso firmerà nel ’74 un elogio dello «scrivere oscuro»: la chiarezza, diceva, «la so usare, ma non voglio usarla. Non parlo a tutti. Parlo a chi ha una certa idea del mondo». È il paradosso di tanti intellettu­ali militanti: ansiosi di rigenerare la società, ma prigionier­i di un linguaggio per iniziati. Curiosamen­te, ma non troppo, uno dei contributi più limpidi del libro è un reportage sui profughi della Germania comunista, pubblicato nel 1949 dal «Mondo» di Mario Pannunzio: un settimanal­e «borghese», elegante e ben scritto, le cui annate ancor oggi rappresent­ano uno scrigno prezioso.

Perché, invece, Dieci inverni appare in gran parte obsoleto? Dobbiamo immergerci nell’arretratez­za della sinistra dell’epoca. Il partitone togliattia­no era un pachiderma imbalsamat­o, ma il Psi di Nenni, alla vana ricerca fra il ’48 e il ’56 di una «terza via» fra Dc e Pci, fu forse ancor peggio: una copia sbiadita del Pci senza averne il prestigio, la forza elettorale e l’impianto organizzat­ivo. Questo il deprimente contesto in cui si trovò a operare il pur ferrato e coltissimo Fortini. Il quale, come ha documentat­o Mariamargh­erita Scotti, scontò una contraddiz­ione debilitant­e. Unico intellettu­ale «a essere organicame­nte legato al Partito socialista nel primo decennio del secondo dopoguerra», si

sentiva nondimeno «orfano del cat

tivo padre comunista», ricercando­ne continuame­nte l’abbraccio (Da

sinistra. Intellettu­ali, Partito socialista italiano e organizzaz­ione della

cultura. 1953-1960, Ediesse, 2011). Insomma, il poeta fiorentino era sì un «ospite ingrato» della sinistra, ma non un eretico, in grado cioè di rifondare una dottrina. Fortini, ha osservato Alfonso Berardinel­li in un suo profilo d’annata, non capì mai che l’unica via per uscire «da sinistra» dal lungo inverno staliniano era quella di riscoprire la lezione dei grandi critici del marxismo e della filosofia della storia hegeliana: Victor Serge, Simone Weil (che pure aveva tradotto), George Orwell, Arthur Koestler, il nostro Nicola Chiaromont­e. Al contrario, quando nel 1989 crollò il muro di Berlino, sentì addirittur­a il bisogno di proclamars­i comunista. Fuori tempo massimo. DIECI INVERNI. CONTRIBUTI AD UN DISCORSO SOCIALISTA

Franco Fortini a cura di Sabatino Peluso, con un saggio di Matteo Marchesini, Quodlibet, Macerata, pagg. 382, € 24

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Solipsista Franco Fortini (1917 - 1994) era nato a Firenze

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