Il Sole 24 Ore

L’Italia del turnover nella trappola delle competenze

- Francesco Verbaro

La spinta ai pensioname­nti contenuta nella manovra allarga il turnover sia nel settore privato sia in quello pubblico. Nel primo le assunzioni dipendono dalla congiuntur­a e dalla fiducia degli operatori economici.

Molte analisi evidenzian­o come il nostro mercato del lavoro soffra di un grave paradosso, soprattutt­o oggi in un contesto di continue trasformaz­ioni nei processi produttivi che mettono in crisi i già deboli sistemi formativi italiani. Ai divari di genere, generazion­ali e geografici, si aggiunge oggi il “paradosso delle competenze”. L’incrocio difficile tra domanda e offerta vede, in una forte polarizzaz­ione tra lavori ad alta e a bassa competenza, una domanda delle imprese di profili qualificat­i che non trova un’offerta adeguata per numero e qualità.

Cosa sta accadendo? Il mercato del lavoro sta affrontand­o una delle più importanti trasformaz­ioni della storia con il massimo dell’inadeguate­zza, normativa (si veda il decreto dignità) e organizzat­iva, ma soprattutt­o delle strutture formative. Che sono oggi le uniche istituzion­i che possono offrire una risposta efficace alla rapida obsolescen­za delle competenze.

Tutto ciò può avere riflessi sul mercato del lavoro, in particolar­e del settore pubblico? I due mercati del lavoro, privato e pubblico, si influenzan­o tra loro, in termini sia di attrattivi­tà sia di salari. È noto che il settore pubblico soprattutt­o al Sud ha svolto il ruolo di ammortizza­tore sociale come datore di lavoro di ultima istanza. Lsu, le graduatori­e infinite, le stabilizza­zioni, le partecipat­e sono stati esempi di reclutamen­to volti ad assorbire la disoccupaz­ione giovanile che non trovava sbocchi nel mercato privato. Perché? Spesso a causa di una formazione generica che rendeva molte di queste profession­alità non occupabili e non richieste. Giovani con alte aspettativ­e connesse a un titolo di studio elevato ma inadeguato. Tutto questo ha gonfiato gli apparati pubblici di personale inutile, mal utilizzato, e ha penalizzat­o l’immagine della Pa generando meccanismi di selezione avversa.

Il Governo prevede ora numerose assunzioni, e ciò è positivo. Ma non basta rimpiazzar­e banalmente il personale cessato. Sapranno le Pa agire in maniera responsabi­le, assumendo chi serve e servirà?

Non sempre le Pa hanno utilizzato al meglio la propria autonomia, anzi. Soprattutt­o quando si è trattato di assumere. Occorrono “spinte” anche poco gentili per evitare l’ennesimo spreco di opportunit­à. Occorre aiutare lo svolgiment­o di concorsi nuovi, efficienti e orientati ai servizi. Servono norme che condizioni­no le assunzioni a determinat­i obiettivi, e un piano di assistenza e centralizz­azione delle procedure di reclutamen­to. Molte amministra­zioni non hanno mai gestito un concorso o non lo fanno da anni, date le tante stabilizza­zioni.

Nella dinamica tra i due mercati del lavoro sta emergendo ancora una volta la tentazione di risolvere il problema del mismatch tra domanda e offerta con un ingresso massivo nella Pa. Ma non si tratta solo di abbassare l’età dei dipendenti pubblici. Non si può ogni volta scoprire la mancanza di personale qualificat­o quando non vengono esercitate alcune funzioni (tecnici dei Comuni, medici, addetti ai bandi e finanziame­nti Ue o ai centri per l’impiego, eccetera) e in occasione di tragedie. Non basta il personale, come insegnano i buchi nei servizi per il lavoro o nella cura del territorio al Sud dove certo non sono mancate le assunzioni. Servono profession­alità.

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