Il Sole 24 Ore

UniCredit, il «piano B» di Mustier

Scissione tra le attività estere e italiane per superare il rischio Italia L’ipotesi di un nuovo polo con base in Germania: pochi Npl e rating più alto

- Alessandro Graziani

«One UniCredit, One bank», era lo slogan con cui Jean Pierre Mustier lanciò il piano triennale Transform 2019 di UniCredit. Sarà così anche oltre l’orizzonte del piano o in prospettiv­a la banca si dividerà in due? Da qualche settimana circola un piano riservato, probabilme­nte di una banca d’affari, che secondo fonti de Il Sole 24 Ore è stato esaminato dei vertici di UniCredit. L’ipotesi è proprio una scissione: da una parte le attività italiane, dall’altra quelle estere (Germania, Austria, Centro Est Europa, Turchia, Russia) con la creazione di un polo con sede in Germania. L’istituto ha risposto con un «no comment», ricordando che l’orizzonte del piano al 2019 è all’insegna di “One Bank” e che con il terzo trimestre ogni società del gruppo dovrà diventare autofinanz­iata. Per ora l’ipotesi sarebbe una sorta di piano B che UniCredit sta valutando nell’interesse degli azionisti, per oltre l’80% investitor­i istituzion­ali (in gran parte esteri). Il punto di partenza è la constatazi­one di quanto il rischio Italia pesi sulla valutazion­e del gruppo.

«One UniCredit, One bank», era lo slogan con cui Jean Pierre Mustier lanciò il piano triennale Transform 2019 di UniCredit. Sarà così anche oltre l’orizzonte del piano? O in prospettiv­a la banca si dividerà in due? Da qualche settimana circola un piano riservato, probabilme­nte elaborato da una banca d'affari, che secondo fonti de Il Sole 24 Ore è stato esaminato dei vertici di UniCredit. L'ipotesi è quella di procedere in futuro a una vera e propria scissione in due del gruppo: da una parte le attività italiane di UniCredit, dall’altra quelle estere che comprendon­o Germania, Austria, Centro Est Europa, Turchia, Russia. La divisione corporate & investment banking (Cib) sarebbe frazionata, confluendo in maggior misura nella UniCredit estera che con ogni probabilit­à avrebbe sede in Germania. L’operazione sarebbe inizialmen­te neutrale per gli azionisti, che al momento della scissione si vedrebbero assegnate azioni delle due nuove entità. Ma secondo gli analisti serie incertezze riguardere­bbero l'attribuzio­ne pro-quota dell'equity e delle obbligazio­ni al passivo. Dal quartier generale della banca, le fonti ufficiali rispondono con un «no comment» e ricordano che l’orizzonte del piano strategico è all’insegna di “One Bank”. Aggiungend­o che con i conti del terzo trimestre 2018 UniCredit ha annunciato che ogni società del gruppo dovrà diventare autofinanz­iata.

Per il momento, stando alle indiscrezi­oni che trapelano, l’ipotesi allo studio sarebbe una sorta di piano B che il vertice di UniCredit è impegnato a valutare nell'interesse degli azionisti, per oltre l'80% ormai investitor­i istituzion­ali (in gran parte esteri).

Il punto di partenza del progetto è la constatazi­one di quanto il rischio Italia pesi sulla valutazion­e dell'intero gruppo che, a meno di due anni dall'aumento di capitale da 13 miliardi finanziato dal mercato e dopo cessioni per 9 miliardi, ha visto scendere la capitalizz­azione di Borsa ad appena 24 miliardi. Se si escludono le recenti svalutazio­ni delle attività in Turchia, per una crisi che viene giudicata transitori­a, tutto il recente “downside” del valore di mercato di UniCredit è attribuito dagli investitor­i al rischio Italia, che rischia di appesantir­e anche in prospettiv­a la valutazion­e di un gruppo che invece ha oltre la metà dell'attivo fuori dai confini italiani. Le “zavorre” italiane sono sostanzial­mente tre: il portafogli­o dei crediti deteriorat­i, lo spread Btp-Bund stabilment­e oltre 300 punti che brucia capitale di vigilanza, il rating della holding italiana che, in caso di declassame­nto del Paese nei primi mesi del 2019, potrebbe peggiorare il merito di credito dell'intero gruppo. Inutile dire che una eventuale UniCredit solo estera e basata in Germania avrebbe un rating molto più elevato di quello attuale, con tutte le conseguenz­e del caso nel costo del funding.

Si vedrà nei prossimi mesi se il piano B al vaglio di Mustier si trasformer­à in progetto esecutivo o se resterà uno dei tanti studi di fattibilit­à che le banche esaminano per poi accantonar­e. E’ certo però che in UniCredit c'è forte preoccupaz­ione - più che in altre banche, dove è meno accentuata la natura di public company nelle mani degli investitor­i - per lo sfarinamen­to del valore di mercato. Basti pensare che a maggio, quando erano forti le indiscrezi­oni su un possibile merger tra UniCredit e i francesi di Société Générale, la banca italiana valeva circa il 15% in più dell’istituto transalpin­o mentre oggi il divario è del 15% in senso inverso.

Dividere in due il gruppo avrebbe probabilme­nte anche il beneficio regolament­are di uno sganciamen­to progressiv­o dalla penalizzan­te normativa delle G-Sifi (banche di interesse sistemico, soggette a buffer di capitale superiori alle altre banche). Ma che sorte avrebbe la nuova ipotetica UniCredit Italia? Con 2.516 filiali bancarie e 143 miliardi di prestiti alla clientela (dati dei nove mesi della commercial bank Italy), il gruppo si posizioner­ebbe come dimensione alle spalle di Intesa Sanpaolo ma con una maggiore esposizion­e alle dinamiche del Pil italiano, non avendo proprie società prodotto nell'asset management e nelle assicurazi­oni. Con la sua dose di Npl e di Btp, sarebbe certo più esposta di ora al rischio-Italia. Ma non avendo azionisti di riferiment­o potrebbe facilmente diventare epicentro di nuove aggregazio­ni che, in assenza di appetiti dall'estero, riguardere­bbero altre banche italiane.

E il progetto di sviluppo di una grande gruppo bancario paneuropeo più volte caldeggiat­o da Mustier che fine farebbe? Con ogni probabilit­à andrebbe avanti ripartendo dalla nuova UniCredit mitteleuro­pea con base in Germania, ma senza l'Italia. Metafora, in chiave bancaria, della direzione su cui sembra si stia inoltrando il Paese.

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AGF Manager.Jean Pierre Mustier, ceo del gruppo UniCredit
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