PERCHÉ LA BCE DEVE DIRE CHE L’ESPANSIONE CONTINUA
Piuttosto che sperare che un peggioramento della congiuntura spinga la Banca centrale europea (Bce) a modificare i suoi piani in senso ulteriormente espansivo, è più saggio auspicare che la Bce aumenti ulteriormente il grado di trasparenza della sua azione monetaria.
Perché tutti comprendano che, in assenza di novità, l’espansione monetaria sarà ancora forte almeno per tutto il prossimo anno. Migliore comprensione significa migliori aspettative, incluso il futuro percorso dei tassi, che sta soprattutto a cuore a Paesi come l’Italia.
Nei giorni scorsi un discorso del Presidente della Bce Mario Draghi è stato oggetto - senza dubbio nel nostro Paese - di una curiosa interpretazione e una correlata eccessiva enfasi. Il discorso di Draghi non conteneva alcuna novità rispetto alle analisi finora prodotte dalla Bce sullo stato della congiuntura nell’Unione e sul corrispondente disegno della politica monetaria. La ripresa in Europa ha rallentato, ma questo fatto di per sé non ci dice ancora nulla. Dal 1975 a oggi ci sono state cinque espansioni economiche nella regione che oggi corrisponde all’area euro. In media tali espansioni sono durate 31 trimestri, con una crescita del prodotto interno lordo (Pil) del 21%; l’attuale espansione è finora stata più breve - 22 trimestri - e meno robusta una crescita del Pil del 10% - anche rispetto alla performance registrate oltre oceano dagli Stati Uniti - la ripresa economica in corso sta durando da 37 trimestri, con un aumento del Pil del 21%.
Dunque una crescita europea non entusiasmante, con un rallentamento in cui il maggiore fattore non temporaneo viene considerato la maggiore incertezza, che può intossicare in primo luogo la dinamica degli scambi, e poi a cascata le decisioni di consumo e di investimento. L’analisi si presta a due domande: come irrobustire la crescita da un lato, e come contrastare l’incertezza dall’altro. Per irrobustire la crescita - europea e italiana - la strada empiricamente più robusta è quella di guardare alle caratteristiche dei mercati degli input produttivi e dei relativi prodotti e servizi, cioè concentrare l’attenzione sulla produttività.
Un recente studio di Gianmarco Ottaviano e co-autori evidenza come ci sia un enorme problema di cattiva allocazione delle risorse, che non si muovono – come dovrebbero - dalle imprese meno efficienti a quelle più efficienti. Per sciogliere il nodo della produttività occorrerebbe disegnare - sia a Bruxelles che nelle cancellerie nazionali - una serie di politiche cosiddette dell’offerta; in questo perimetro, la politica monetaria non centra un bel nulla.
Eppure in Italia il discorso di
È TEMPO
CHE BRUXELLES E LE CANCELLERIE UE METTANO A PUNTO POLITICHE DELL’OFFERTA
Draghi è divenuto un allarme su un presunto rischio recessivo, che andrebbe curato con un cambio di registro della politica monetaria. L’abbaglio nasconde una speranza, spesso inconfessata: che un peggioramento congiunturale possa costituire l’occasione per mantenere - sine die? - l’eccezionale espansione monetaria che la Bce ha messo in campo negli ultimi 10 anni. È la speranza miope di un malato che non vuol guarire, e pensa che un eterno palliativo sia la soluzione.
L’unica cosa che oggi la politica monetaria può fare è combattere l’incertezza. Lo strumento è quello di accentuare la trasparenza su quello che è e sarà il contributo della azione della Bce alla crescita economica. Va chiarito ad esempio che l’obiettivo di cercare di non cadere nella deflazione ha implicato una espansione monetaria senza precedenti, che peraltro continuerà nel prossimo anno. La Bce dovrebbe creare degli indicatori che non si limitino al livello dei tassi di interesse per segnalare quanto eccezionale sia stata - e continuerà a essere - la politica monetaria. Dal 2008 a oggi la Bce ha messo in campo - intrecciandoli - tre diversi strumenti: tassi di interesse nulli e negativi, operazioni in titoli straordinarie come ammontare e tipologie, annunci vincolanti sulle strategie future.
Per cogliere tutto questo non basta guardare ai tassi di interesse. Ad esempio: in questo decennio la Bce ha iniziato a utilizzare titoli pubblici non a breve termine, e anche titoli privati, per rafforzare l’azione ribassista dei tassi di interesse. Per gli Stati Uniti è stato calcolato che un importo di tali operazioni pari all’1,5% del Pil è equivalente a una variazione di 25 punti base (pb) dei tassi di interesse. Se si utilizza tale unità di misura, e si guarda all’ammontare che tali titoli oggi rappresentano nel bilancio della Bce, l’espansione monetaria che è stata messa in campo - e che continuerà, visto l’impegno ribadito da Draghi corrisponde a un tasso ombra di 150 pb. Allo stesso tempo, i tassi di interesse rimarranno più bassi del livello normale per altri 250 pb. Il totale dell’eccesso di espansione monetaria rispetto alla normalità è dunque di 400 pb.
È questo il messaggio che deve passare: l’espansione monetaria è stata straordinaria, e sarà ancora in atto. È dunque nell’interesse di tutti che le altre politiche economiche facciano il loro dovere, perché la straordinarietà non è eterna, e può essere invece alla lunga molto rischiosa.