Il Sole 24 Ore

Messa alla prova, lezione estera anticorruz­ione

L’istituto (Dpa) rinvia il processo per l’azienda che collabora e risarcisce i danni Dagli Usa alla Francia buoni risultati - Anac e Confindust­ria: il modello si può importare

- Bussi e Mazzei

In gergo si chiama Dpa, dall’acronimo inglese. È la «messa alla prova» che consente alle imprese nel mirino di siglare un accordo con la pubblica accusa e sospendere il procedimen­to penale di corruzione. Lo strumento è già collaudato in Usa, Regno Unito e Francia. E secondo Anac e Confindust­ria potrebbe essere importato in Italia.

Il nome in codice è Dpa, dall’acronimo inglese. Sta per «Deferred prosecutio­n agreement»: un accordo tra l’autorità inquirente e un’azienda nel mirino per rinviare il processo per corruzione. E per sospenderl­o se l’impresa si impegna a collaborar­e, a risarcire il danno e ad avviare un piano di “rieducazio­ne”. Lo strumento - come mostra la fotografia scattata dal Sole 24 Ore con il contributo di Hogan Lovells sui sistemi di prevenzion­e messi in campo da cinque big mondiali - esiste dagli anni 90 negli Usa, è stato introdotto nel 2013 nel Regno Unito e nel 2016 anche in Francia con la «legge Sapin».

In Italia invece una misura simile esiste solo per le persone fisiche. Si tratta della messa alla prova che, nata per i minori, è stata poi estesa agli adulti. Nulla però per le imprese - neppure nel disegno di legge anticorruz­ione all’esame del Parlamento. «Ma - fa notare Francesca Rolla, socio di Hogan Lovells e responsabi­le del dipartimen­to italiano di litigation e investigat­ion - con alcuni correttivi potrebbe essere introdotta anche nel nostro Paese. È uno strumento innovativo che incentiva la cultura della trasparenz­a e della collaboraz­ione tra imprese e pubblica autorità, permette di risparmiar­e risorse pubbliche e può contribuir­e a ridurre le conseguenz­e reputazion­ali per l’impresa coinvolta».

Il Dpa piace anche all’Anac, l’autorità nazionale anticorruz­ione. «Prevedere una messa alla prova dell’ente anche per fatti di corruzione - dice Nicoletta Parisi, consiglier­e Anac e professore di diritto internazio­nale -, che porti all’estinzione del reato al termine di un periodo concordato durante il quale viene attuato un programma di risanament­o e versato un risarcimen­to del danno, potrebbe essere molto utile». Molteplici i vantaggi. «L’ente - continua Parisi - evita processo e sanzioni, l’attività d’impresa è salva e con essa la manodopera, il danneggiat­o viene risarcito». L’ipotesi del Dpa incontra anche il favore delle imprese:

secondo Confindust­ria sarebbe infatti uno strumento che potrebbe «riequilibr­are l’approccio troppo spostato sulla repression­e del Ddl anticorruz­ione».

L’occasione per introdurre lo strumento potrebbe essere proprio il Ddl “spazzacorr­otti” che deve ancora essere approvato in via definitiva (la scorsa settimana ha ottenuto il sì della Camera) .

Dove esiste, il Dpa è uno dei fiori all’occhiello della prevenzion­e. Negli Usa gli accordi conclusi sono stati circa 30 all’anno negli ultimi dieci anni e lo strumento esiste anche per le persone fisiche. Nel Regno Unito uno dei più noti ha portato Rolls Royce al pagamento di oltre 400 milioni di sterline nel gennaio 2017. Due, invece, gli accordi finora in Francia.

Più in generale dal Duemila i big mondiali hanno alzato il tiro contro la corruzione, puntando proprio sulla cultura della prevenzion­e. Una tendenza partita

dalle raccomanda­zioni delle organizzaz­ioni internazio­nali, come l’Onu (con la Convenzion­e di Merida del 2003) il Consiglio d’Europa (attraverso il Greco, il Gruppo di Stati contro la corruzione) e l’Ocse.

«Si è posto l’accento - aggiunge Rolla - sulla responsabi­lità diretta delle società, sulla conseguent­e opportunit­à di sistemi di prevenzion­e e controllo della corruzione sempre più efficaci e sulla diffusione di una cultura della trasparenz­a». Così nel corso degli anni i cinque Paesi considerat­i hanno creato un’Autorità ad hoc, introdotto norme sul conflitto di interessi e sulla responsabi­lità amministra­tiva e penale delle società. Fino alla normativa sul «whistleblo­wing» nel settore privato, assente solo in Spagna.

«L’Italia - dichiara Virginio Carnevali, presidente di Transparen­cy Internatio­nal Italia - dalla legge Severino in poi ha fatto molti passi avanti». Nell’ultima classifica dell’Organizzaz­ione la posizione del nostro Paese (che resta 54esima su 180), risulta migliorata. «La situazione normativa - conclude Carnevali - è adeguata, ma i processi restano ancora troppo lunghi».

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Alfonso BonafedeIl ministro della Giustizia dopo l’approvazio­ne del Ddl anticorruz­ione: « Viene chiuso il cerchio anche con la parte sulla trasparenz­a».

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