Il Sole 24 Ore

APPALTI, PROVINCE CAPOFILA

- di Gustavo Piga e Gaetano Scognamigl­io

La legge di Bilancio per il 2019 prova a razionaliz­zare il sistema degli appalti pubblici a livello locale. Il comma 4 dell’articolo 16 modifica infatti l’articolo 37 del Codice appalti stabilendo, che - in attesa (da quanto tempo ormai!) della qualificaz­ione delle stazioni appaltanti - le Province e le Città metropolit­ane operino obbligator­iamente come centrali di committenz­a di lavori pubblici per tutti i Comuni non capoluogo.

La soluzione, corretta e ispirata alla logica di valorizzar­e l’esistente, è altresì confortata dai risultati dello studio realizzato dall’Accademia per l’autonomia in collaboraz­ione con Promo Pa Fondazione e l’Università di Roma Tor Vergata, che analizza 58 Stazioni uniche appaltanti (provincial­i e di area metropolit­ana) e 865 Centrali uniche di committenz­a comunali, proponendo un modello organizzat­ivo nel quale Comuni, Province, Città metropolit­ane e Regioni possano individuar­e, all’interno di una stessa area territoria­le, ambiti di complement­arietà e specializz­azione e dove le province si configuran­o come centri strategici di aggregazio­ne e di innovazion­e nel sistema degli acquisti a livello locale.

Così si andrebbe verso il raggiungim­ento di un duplice obiettivo: ridurre il grado di estrema centralizz­azione degli appalti dell’ultimo decennio che così tanto male ha fatto alle piccole imprese e al loro potenziale di crescita ma al contempo garantire quella razionaliz­zazione (sinora mai avvenuta) necessaria tramite l’eliminazio­ne di un numero congruo di punti ordinanti, in particolar­e quelli troppo piccoli quanto a volumi delle loro gare, che hanno il solo effetto di distorcere la domanda pubblica verso decisioni spesso poco coordinate con l’indirizzo generale di politica industrial­e per il Paese.

In mancanza di un quadro normativo chiaro sui livelli di qualificaz­ione - che sperabilme­nte rivoluzion­i anche le carriere del procuremen­t officer e ne valorizzi le competenze acquisite sul campo anche con riconoscim­enti pecuniari e di carriera - lo studio ritiene appunto auspicabil­e che sui territori i diversi soggetti possano trovare forme di collaboraz­ione basate sulla capacità/possibilit­à di svolgere alcune funzioni piuttosto che altre e che, in particolar­e, «le Stazioni uniche appaltanti a livello di area vasta (Provincia o Città metropolit­ana) potrebbero puntare a un livello di qualificaz­ione che le consentano di gestire appalti sopra una certa soglia e specializz­arsi nella gestione di gare di lavori che per dimensione non sarebbero accessibil­i a enti locali di piccola-media dimensione».

Infatti il comma 4 può aprire interessan­ti spazi di manovra nel momento in cui si stanno rilanciand­o gli investimen­ti pubblici con la possibilit­à, prevista dal Ddl della finanziari­a in discussion­e, di utilizzare liberament­e gli avanzi di amministra­zione appunto per investimen­ti, liberando risorse per decine di miliardi di euro. Il ruolo affidato alle Province potrà dunque essere determinan­te, a patto però che si agisca sul versante delle competenze e delle risorse umane, indebolite dalla riforma Delrio, come dimostra un’analoga ricerca condotta sul tema sempre dall’Accademia per l’autonomia.

Gli uffici tecnici delle Province vanno perciò messi in grado di far fronte alle nuove funzioni previste dal comma 4, nonché di predisporr­e in tempi rapidi i bandi necessari a sbloccare gli investimen­ti e realizzare le opere. É necessario pertanto da un lato, prevedere un processo di aggiorname­nto e formazione del personale delle Province in materia di appalti pubblici e dall’altro, reperire rapidament­e nuove figure profession­ali da immettere nel sistema. Mentre sul primo punto esiste un’offerta formativa già presente e diffusa sul territorio, per la selezione d’ingresso è auspicabil­e pensare a concorsi a livello regionale, che possano rispondere in modo più efficace alle esigenze dei territori.

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