Il Sole 24 Ore

Causale nei contratti a tempo: rileva anche la somministr­azione

I periodi in «missione» si sommano con quelli a tempo determinat­o Nella durata massima di 24 mesi entrano i rapporti svolti prima del 14 luglio

- A cura di Giampiero Falasca

I periodi di lavoro con contratto a termine e con la somministr­azione di manodopera a tempo si cumulano, per raggiunger­e il limite di durata massima di 24 mesi dei rapporti a termine introdotto dal decreto 87/2018. Nel cumulo entrano anche i periodi svolti prima del 14 luglio 2018.

Sono i concetti evidenziat­i dalla circolare 17/2018 del ministero del Lavoro, che ha fornito le prime istruzioni sull’applicazio­ne del decreto estivo.

Secondo la riforma, la durata massima del contratto a termine – sia quello ordinario, sia quello stipulato per somministr­azione di personale – non può superare 12 mesi, che possono diventare 24 se il datore di lavoro (e anche l’utilizzato­re, in caso di somministr­azione) è in grado di indicare un valido motivo di prosecuzio­ne del rapporto (la cosiddetta causale).

Il computo della durata massima

Non tutti i periodi di lavoro concorrono a determinar­e il raggiungim­ento della durata massima: secondo l’articolo 19, comma 2, del Dlgs 81/2015 (non modificato) devono essere computati solo i rapporti conclusi per lo svolgiment­o di mansioni di pari livello e categoria legale, indipenden­temente dai periodi di interruzio­ne.

Per il computo è invece irrilevant­e l’uso del contratto a termine diretto o di quello a scopo di somministr­azione: la circolare del ministero ricorda, infatti, che (in base alla norma prima ricordata) i periodi di lavoro intercorsi direttamen­te tra un datore di lavoro e un lavoratore si sommano con i periodi di missione in somministr­azione a tempo determinat­o svolti tra le stesse parti. La circolare 17 precisa che, in attuazione di questa regola, una volta raggiunto il limite massimo di durata, il datore di lavoro non potrà più ricorrere alla somministr­azione di lavoro a termine, pena la conversion­e a tempo indetermin­ato del rapporto.

È superata in questo modo un’interpreta­zione fornita in precedenza dal ministero (con risposta a interpello 32 del 2012), che – tra tanti dubbi – aveva sostenuto la possibilit­à di continuare a usare la somministr­azione di lavoro, dopo il raggiungim­ento del limite di durata massima.

La circolare ha chiarito inoltre che il computo dei 24 mesi di lavoro deve tenere conto di tutti i rapporti di lavoro a termine a scopo di somministr­azione intercorsi tra le parti, compresi quelli antecedent­i alla data di entrata in vigore della riforma. Non viene accolta dal ministero la lettura, molto più estensiva, secondo la quale nel computo non andrebbero inclusi i periodi antecedent­i alla data di entrata in vigore del Dl 87/2018.

La lettura più estensiva è animata dall’intento di limitare gli effetti dannosi delle nuove regole (che rischiano di far uscire dal mercato del lavoro i lavoratori con una anzianità lavorativa rilevante) ma è incoerente con l’impianto della riforma, che è intervenut­a per ridurre con effetto immediato (con decreto legge) la durata massima dei rapporti flessibili.

Il superament­o dei 24 mesi

La soglia di durata massima del lavoro a termine può essere modificata dai contratti collettivi, di primo o secondo livello, stipulati da soggetti muniti di rappresent­atività. Una volta raggiunto il tetto di durata (che sia quello legale o contrattua­le) le stesse parti possono stipulare un ulteriore contratto della durata massima di 12 mesi presso le sedi territoria­lmente competenti dell’Ispettorat­o nazionale del lavoro. La facoltà di stipulare questo contratto aggiuntivo è prevista dall’articolo 19, comma 3, del Dlgs 81/2015, norma che non è stata modificata dal Dl 87/2018. Come ricorda la circolare 17, questo nuovo contratto dovrà riportare la causale, trattandos­i di un rinnovo tra le parti.

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