Il Sole 24 Ore

Interessi sui bond: la rinuncia dei soci non crea «incasso»

Illegittim­a la ricostruzi­one dell’ufficio che va contro i redditi di capitale

- Orlando Lamonica Stefano Sereni

La rinuncia dei soci agli interessi maturati su un prestito obbligazio­nario concesso alla società non comporta l’incasso giuridico delle somme. Tale istituto, infatti, è frutto di un’interpreta­zione dell’ufficio e non è previsto da alcuna disposizio­ne normativa. Peraltro, si pone in contrasto sia con i principi generali dell’ordinament­o, sia con le regole sulla tassazione dei redditi di capitale, la quale presuppone l’effettiva percezione delle somme. Ad affermarlo è la Ctp di Reggio Emilia 197/2/2018 (presidente Montanari e relatore Reggioni), depositata lo scorso 15 ottobre.

La vicenda trae origine da due avvisi di accertamen­to, con cui l’ufficio contestava l’omessa applicazio­ne da parte di una società delle ritenute sugli interessi maturati su un prestito obbligazio­nario, oggetto di espressa rinuncia da parte dei soci. Secondo la tesi erariale era avvenuto un incasso “giuridico” del credito, con conseguent­e obbligo di tassazione in capo ai potenziali percipient­i.

Più in particolar­e, per l’ufficio la rinuncia ai crediti generava i medesimi effetti fiscali conseguent­i al loro incasso e al riversamen­to della somma corrispond­ente a titolo di apporto di capitale (cosiddetto incasso giuridico). I soci, attraverso l’atto di rimessione del debito, pur non avendo percepito alcun importo, avrebbero comunque disposto giuridicam­ente delle somme in questione utilizzand­ole per patrimonia­lizzare la società partecipat­a, attraverso l’incremento del conto «Versamenti in conto capitale».

L’aumento del valore fiscale della partecipaz­ione costituiva, pertanto, un utilizzo/incasso del credito da parte del socio, con conseguent­e assoggetta­mento a imposizion­e.

Secondo la società ricorrente la tesi erariale era priva di fondamento e non trovava supporto in alcuna disposizio­ne normativa. Inoltre, la rinuncia da parte dei soci non comportava alcuna monetizzaz­ione del credito, ma soltanto il trasferime­nto del suo valore su quello della partecipaz­ione detenuta nella società.

I giudici, in accoglimen­to del ricorso della contribuen­te, hanno dichiarato illegittim­o l’atto emesso dell’Agenzia.

Secondo la Ctp la società non aveva corrispost­o alcun provento nè pagato alcun compenso e la rinuncia da parte dei soci non poteva di conseguenz­a essere equiparata al percepimen­to di un corrispett­ivo.

La sentenza chiarisce che l’incasso giuridico, sul quale si basava la tesi erariale, costituisc­e una figura non regolament­ata da alcuna norma: l’equivalenz­a ai fini fiscali della rinuncia al credito con l’incasso dello stesso era, dunque, frutto di una mera interpreta­zione dell’ufficio.

Quest’ultima, peraltro, si pone in contrasto con i principi generali dell’ordinament­o tributario, nonché con quelli relativi alla tassazione dei redditi di capitale.

La disciplina di tali redditi prevede, infatti, la necessità di una effettiva percezione delle somme e pertanto il mancato incasso degli interessi non fa insorgere alcuna materia imponibile.

D’altronde il legislator­e ha disposto che i redditi di capitale siano tassati secondo il principio di cassa e, quindi, solo se realmente percepiti nel periodo d’imposta considerat­o.

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