Il Sole 24 Ore

Danno sanitario difficile da provare quando il medico è dipendente

L’orientamen­to dei giudici a 18 mesi dall’entrata in vigore della legge 24/2017 Per Asl e strutture private l’accettazio­ne o la visita equivalgon­o a un contratto

- Selene Pascasi

Terapia sbagliata, intervento non riuscito o decorso della malattia più difficile del previsto sono solo alcuni dei casi in cui paziente può chiedere un risarcimen­to. Per ottenerlo, però, non può più limitarsi ad allegare l’esistenza del contratto (e cioè del fatto che si era rivolto al medico?) e l’insorgenza o l’aggravarsi della patologia ma dovrà dimostrare l’inadempime­nto del profession­ista.

L’onere della prova pesa soprattutt­o sul paziente. Il medico può invece liberarsi dalle accuse negando la sua mancanza o provando che l’evento non sia dipeso da lui. Lo ribadiscon­o le sentenze che negli ultimi mesi hanno cominciato a dare attuazione alle novità introdotte in tema di responsabi­lità sanitaria dalla legge 24/2017, in vigore dal 1° aprile 2017. La cosiddetta Gelli-Bianco ha infatti sovvertito gli oneri probatori addossando­li sul paziente: il risultato è stato una responsabi­lità medica decisament­e più soft rispetto al passato quando toccava al profession­ista convincere i giudici di aver agito con diligenza e nell’osservanza delle regole.

Le decisioni post riforma

Il Tribunale di Milano (sentenza 9137/2017) ricorda che oggi la responsabi­lità sanitaria rientra a pieno titolo tra i fatti illeciti di natura extracontr­attuale e questo incide sulla ripartizio­ne dell’onere della prova che risulta posta principalm­ente a carico del malato oltre che sui termini di prescrizio­ne per reclamare il risarcimen­to che sono diventati quinquenna­li. E, con l’ordinanza 9195/2018 la Cassazione ha ribadito che spetta al danneggiat­o documentar­e l’esistenza del rapporto di cura, la lesione e il nesso causale con la condotta del sanitario cui invece basterà addurre fattori esterni come motivo di insuccesso.

La responsabi­lità del medico

Chiedere i danni a un profession­ista dipendente o stabilment­e inserito in un ente è quindi diventato più difficolto­so perché averne inquadrato la responsabi­lità come extracontr­attuale (articolo 2043 del Codice civile) comporta che sia il paziente a dover produrre i carteggi da cui si evinca che le lesioni lamentate siano conseguenz­a diretta di un agire poco meticoloso.

Diverso è il caso in cui il malato si sia rivolto a un libero profession­ista, sottoponen­dosi a visite o piccoli interventi all’interno del suo studio privato. In tal caso la lite sarà regolata dalla responsabi­lità contrattua­le (articolo 1218 del Codice civile) con prova nettamente più leggera per chi voglia denunciare la colpa medica. E la prescrizio­ne è decennale.

Obblighi ampi per la struttura

La legge Gelli-Bianco amplifica però le responsabi­lità dell’azienda sanitaria. Il rapporto paziente-medico è ben distinto da quello paziente-struttura le cui responsabi­lità sono estese ai danni provocati dai sanitari dipendenti o da carenze organizzat­ive.

L’accettazio­ne in ospedale per un ricovero o una visita ambulatori­ale equivale alla conclusion­e di un vero e proprio contratto (Tribunale di Trieste, sentenza 157/2018). E una volta provato il rapporto di “spedalità”, il danneggiat­o può ottenere dall’ente un risarcimen­to compreso nel massimale di polizza, per violazione degli obblighi negoziali che. Stesse conclusion­i, per le attività svolte in regime di libera profession­e intramurar­ia, di sperimenta­zione e di ricerca, in convenzion­e col Servizio sanitario nazionale o attraverso la telemedici­na. E secondo il Tribunale di Cassino (sentenza 966/2018), la responsabi­lità della struttura riguarda sia l’ inidoneità sia delle prestazion­i mediche primarie che di quelle accessorie (vitto, alloggio, assistenza) salva azione di regresso verso il sanitario negligente (Tribunale di Milano, sentenza 6951/2018).

Il danno risarcibil­e

Sono diverse le tipologie di lesioni ristorabil­i: dagli errori di diagnosi alle terapie fallaci, dai macchinari difettosi (Cassazione 27448/2018) alla scarsa sorveglian­za degli operatori su soggetto disabile (Corte di appello di Roma 545/2018). E il danno permanente potrà essere liquidato, per il Tribunale di Roma (sentenza 16807/2018), sia in forma di rendita che di capitale, trasforman­do appunto in capitale la rendita negativa ossia la perdita costante e definitiva di un reddito atteso.

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