Imposta di pubblicità e Tasi pesano sui bilanci 2019
Per gli aumenti bocciati sui cartelloni i rimborsi valgono 4-500 milioni Per i servizi indivisibili restano da definire fondo, maggiorazione e nuova Imu
La prima proroga dei preventivi 2019 è arrivata puntuale, come previsto, ed era inevitabile. Far quadrare i conti per i Comuni non sarà facile. E sono molte le incognite dalle quali dipende il difficile pareggio di bilancio. Ancora, nella mole di emendamenti alla manovra, mancano molte risposte.
Certo, un boccata di ossigeno verrà dalla mancata conferma del blocco della leva fiscale, ma non per tutti gli enti, perché molti Comuni avevano già raggiunto il massimo delle aliquote nel 2015. Nella predisposizione degli schemi di bilancio 2019 il Comune può comunque già considerare la possibilità di aumentare l’Imu, l’addizionale comunale all’Irpef e gli altri tributi minori, fatta eccezione per l’imposta di pubblicità, di cui si dirà.
Un discorso a parte merita però la Tasi, dove si annidano due macigni per i bilanci comunali.
Il primo riguarda la maggiorazione Tasi dello 0,8 per mille. La normativa prevede che la somma delle aliquote della Tasi e dell’Imu per ciascuna categoria di immobili non può essere superiore all’aliquota massima prevista per l’Imu, e quindi al 10,6 per mille. Tuttavia, per finanziare le detrazioni per l’abitazione principale era stata data la possibilità di incrementare la Tasi di uno 0,8 per mille. Nel 2016, a seguito della soppressione della Tasi per le abitazioni principali, la maggiorazione in questione doveva venir meno, ma in considerazione del fatto che non esisteva un vincolo normativo che obbligasse l’utilizzo dell’intero gettito da maggiorazione per il finanziamento delle detrazioni, è stata data la possibilità di continuarla ad utilizzare anche per immobili diversi dall’abitazione principale. Questa possibilità è stata poi prorogata annualmente fino al 2018. Nel disegno di legge di stabilità per il 2019 però non c’è traccia della conferma, ed ovviamente se non dovesse essere approvato il correttivo sul punto gli effetti per i bilanci di quei Comuni che l’hanno applicata finora saranno pesanti.
A ciò occorre aggiungere la mancata, per ora, conferma del contributo compensativo finalizzato a compensare i Comuni per i quali la sostituzione del prelievo sull’abitazione principale da Imu a Tasi non ha permesso di avere dalla Tasi lo stesso gettito che si aveva dall’Imu, a causa del limite posto alle aliquote. Questo contributo, che riguarda circa 1.800 Comuni, si è peraltro progressivamente ridotto nel corso degli anni, passando dai 625 milioni previsti per il 2014 ai 300 milioni per gli anni 2017-2018.
Naturalmente i problemi finanziari legati alla Tasi svaniscono se veramente, come annunciato, vi sarà l’unificazione della Tasi e dell’Imu nella cosiddetta «nuova Imu». Ma anche in questo passaggio non mancano possibili inciampi.
Altra tegola riguarda l’imposta di pubblicità. La sentenza 15/2018 della Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità delle maggiorazioni fino al 50% sull’imposta deliberate dai Comuni, anche tacitamente, a partire dal 2013, benché sia stata confermata la legittimità costituzionale del comma 739 della legge 208/2015 che aveva la funzione di salvaguardare proprio le delibere dei Comuni che avevano già deciso la maggiorazione. L’effetto ottenuto è quello dell’applicazione delle tariffe base previste nel 1993 e aggiornate con Dpcm del 2001, quindi ferme a quasi vent’anni fa. Oltre a formulare i bilanci 2019 sulla base di un gettito ridotto pesantemente, i Comuni dovranno anche stanziare risorse per i rimborsi, che secondo le stime di Anci si assestano sui 400/500 milioni.
Altra norma assente per ora è la conferma della possibilità per i Comuni di derogare ai coefficienti di produzione dei rifiuti nei limiti del 50% dei valori minimi o massimi previsti dal Dpr 158/1999. Questi coefficienti individuano presuntivamente i rifiuti prodotti dai contribuenti, e quindi incidono sui criteri di calcolo delle tariffe. In passato i Comuni vi hanno derogato per non gravare eccessivamente su alcune categorie, ma la mancata conferma della possibilità di deroga, ovviamente determina un effetto a catena che porterà ad aumenti generalizzati.