Il Sole 24 Ore

Dalla Bei aiuti a Roma per evitare il peggio

In caso di una procedura di infrazione, molta cautela sui tagli ai finanziame­nti

- Isabella Bufacchi

Prestare meno all’Italia, uno dei Paesi fondatori dell’Unione europea? Non prestare più all’Italia, il «Paese che è parte del nostro successo», lo Stato «più europeista da sempre»? La Bei non ci pensa proprio, come ha fatto intendere ieri il presidente Werner Hoyer rispondend­o alle domande dei giornalist­i: anzi questo scenario peggiore ed estremo, legato a una conclusion­e in negativo di un’eventuale procedura d’infrazione per deficit eccessivo, per ora non è lontanamen­te nei radar della Banca europea degli investimen­ti, adesso tutta assorta da una vera e propria patata bollente, che è Brexit e l’uscita del Regno Unito tra i suoi principali azionisti.

Ridimensio­nando il rischio del taglio dei finanziame­nti Bei all’Italia, Hoyer ha detto che scatterebb­e un “whatever it takes” per evitare il peggio. Sulla carta, lo scenario peggiore prevede che il Consiglio europeo chieda alla Bei di rivedere la posizione con il Paese sotto procedura, ma nel concreto Hoyer ha spiegato che si apre una consultazi­one tra Consiglio, Commission­e e Bei, «facendo bene attenzione a non adottare misure controprod­ucenti». Il ragionamen­to di Hoyer è chiaro: un Paese che finisce sotto procedura ha problemi di crescita e di stabilità e bloccare i finanziame­nti in un momento di necessità è controprod­ucente. Pur «tenendosi in equilibrio» con l’altro fronte, quello dell’alto debito, ma «le reazioni eccessive vanno evitate».

«L’Italia è parte del nostro successo», ha sottolinea­to Hoyer, mettendo in chiaro che l’Italia è passata alla storia finora come il più europeista degli Stati europei: l’anno scorso è stato il Paese con il più alto volume di prestiti Bei, pari a 12,3 miliardi e sebbene quest’anno (per colpa di Brexit) la Banca preveda una riduzione del volume totale dei finanziame­nti, l’Italia ha già messo a segno finora 6,3 miliardi, ancora in cima alla classifica. Finirà il 2018 tra i primi finanziati.

«L’Italia rimane ancora ai primi posti - ha confermato il vicepresid­ente Dario Scannapiec­o - ma il punto è un altro: l’Italia deve preparare meglio i progetti a livello locale e centrale. La pubblica amministra­zione ha bisogno di più esperti nella materia, perché c’è un’enorme differenza tra un progetto e un concetto, quest’ultimo a rischio di veder lievitare costi e tempi».

Sebbene Hoyer abbia riconosciu­to di essere preoccupat­o per quel che sta accadendo in Italia, la sua vera preoccupaz­ione è indubbiame­nte Brexit. L’uscita di un Paese azionista come il Regno Unito dal capitale della Bei ha un enorme impatto: non tanto per i 2,3 miliardi di capitale paid-in in uscita, «facilmente risolvibil­i attingendo alle nostre riserve che viaggiano poco sotto i 50 miliardi» e senza contare che alcuni Paesi hanno già chiesto di aumentare la propria quota. Quel di cui la Bei non può fare a meno sono le garanzie, il contingent capital pari per UK a 36 miliardi circa. La Bei finora ha assorbito solo 14 miliardi di capitale versato in cash dagli Stati membri della Ue che arriva però a totali 240 miliardi con le garanzie, generando un bilancio da 600 miliardi grazie a una leva di 2,5 volte. L’uscita del Regno Unito, tra capitale paidin e garanzie per un totale di 40 miliardi equivale a un taglio del bilancio Bei di 100 miliardi, con una «leva inversa» ha spiegato Hoyer. Questo perché la Bei ha bisogno di difendere il rating “AAA” che consente di finanziars­i a costi molto bassi (60-70 miliardi di emissioni di bond l’anno) e di riversare questo basso costo del denaro ai progetti co-finanziati con le banche private e di sviluppo.

Tutto questo non accadrà, Hoyer è convinto che la quota britannica verrà rimpiazzat­a e ripartita per tempo e che non «dovremo ridurre la nostra attività». Anche perchè, la Bei ha molto lavoro ancora da fare e non solo in Italia. Vanno sostenuti finanziari­amente la digitalizz­azione, l’intelligen­za artificial­e, il contrasto al cambiament­o climatico, le grandi infrastrut­ture nei trasporti transfront­alieri, le Pmi. Hoyer ha avuto parole dure, ieri, ma non verso l’Italia. Verso la Germania, il suo Paese dove è stato ministro e ha lavorato al fianco di Angela Merkel. Parlando di innovazion­e, il presidente della Bei ha sbottato: «La Germania ha perso tempo finora: è un deserto digitale! Spero vivamente che si sveglierà, e che lo farà presto. Solo ora il Governo in Germania sta realizzand­o che questi investimen­ti vanno potenziati». L’allarme suona ma in Germania.

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L’Italia e la Bei. Per il presidente, Werner Hoyer, «l’Italia è parte del nostro successo».Nel 2017 è stato il Paese con il più alto volume di prestiti Bei e nel 2018 sarà tra i primi beneficiar­i

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