Tim, Vivendi: assemblea subito
La partita Telecom. I francesi tornano in pressing su Elliott per la chiamata dei soci e trovano la sponda dei sindaci Il fronte Mediaset. Respinta l’impugnativa di Simon Fiduciaria: spianata la strada all’arrocco di Fininvest
Col 23,94% del capitale ordinario Vivendi è in condizione di chiedere l’assemblea in ogni momento
Il collegio sindacale Telecom dà un (involontario) assist a Vivendi per tornare in sella alla compagnia telefonica, mentre la linea dei francesi subisce uno scotto giudiziario nella querelle con Mediaset.
Vivendi ieri è tornata a reclamare la convocazione di un’assemblea Telecom per la nomina dei revisori. «Per una società delle dimensioni di Tim sarà difficile rimanere “senza” revisori dopo il 31 di dicembre, soprattutto considerando tutti i recenti problemi di governance che hanno portato al licenziamento del ceo (Amos Genish). Per questo, i consiglieri di Elliott dovranno probabilmente chiamare un’assemblea in tempi molto rapidi, senza aspettare aprile», ha dichiarato da Parigi il portavoce della media company. Poco importa che nell’aprile scorso fosse stato proprio il voto del primo azionista transalpino a impedire che la scelta fosse fatta nei tempi opportuni, cioè con un anno d’anticipo rispetto alla scadenza del mandato dell’attuale società di revisione, PwC. Non ci sono vincoli di legge e la nomina potrebbe essere fatta alla prossima assemblea di bilancio, ma poichè spetta ai sindaci indicare validi candidati, l’organo di controllo ha raccomandato che si proceda in tempi rapidi, di fatto per evitare di avere una rosa misera di nomi tra cui scegliere.
L’idea, prima che si consumasse la rottura con Genish, era di portare il tema al cda del 6 dicembre per convocare un’assemblea ad hoc tra fine gennaio/inizio febbraio. Ora non è detto che questo orientamento venga confermato e implicitamente se ne avrà una prova dal calendario societario per il 2019 che dovrebbe uscire dall’ultimo board di quest’anno. Vivendi non ha i numeri (conta 5 consiglieri su 15) per opporsi alle decisioni della maggioranza, ma da azionista, col 23,94% del capitale ordinario, potrebbe chiedere l’assemblea in ogni momento, salvo che a farlo non sia un gruppo di fondi come ventilato dall’ex ad sfiduciato. Ci si aspetta, nel caso, che il gruppo che fa capo a Vincent Bollorè ne approfitti per chiedere un rimpasto del consiglio.
Sul fronte Mediaset, l’impugnativa dell’assemblea del 27 giugno da parte di Simon fiduciaria si è trasformata in un boomerang per Vivendi. Il giudice Amina Simonetti del Tribunale di Milano ha respinto infatti la richiesta di sospensione d’urgenza di due delle delibere avanzata da Simon fiduciaria (gruppo Ersel), alla quale Vivendi ha girato il 19,19% del capitale Mediaset, pari al 19,95% dei diritti di voto. Con una duplice conseguenza. Da una parte, resta valida la delibera assembleare che ha dato il via libera al riacquisto di azioni proprie fino al 10% del capitale Mediaset col meccanismo del whitewash, cioè con l’ok della maggioranza delle minoranze presenti. Fininvest, che già detiene il 40,28% del capitale, ha così la possibilità di aumentare la presa - mediante il buy-back - senza sottostare ai vincoli delle soglie d’Opa. D’altra parte, il giudice è anche entrato nel merito, portando argomenti che il Biscione potrebbe spendere a suo favore nell’udienza che il prossimo 4 dicembre si terrà - sempre al Tribunale di Milano - per la causa Premium e la tentata scalata.
Simon fiduciaria non era stata ammessa a partecipare all’assemblea perchè il consiglio Mediaset aveva denunciato che il mandato «prevede l’esercizio dei diritti di voto nell’interesse e per conto di Vivendi», in violazione, a suo giudizio, delle disposizioni dell’Agcom e del contratto su Premium che impegnava il gruppo che fa capo a Vincent Bolloré a «non interferire con gli assetti proprietari e la governance» della società. «Nel merito», la sentenza ha osservato che la decisione del cda Mediaset è «atto gestorio, rientrante nell’ambito delle attribuzioni dell’organo amministrativo» e il presidente dell’assemblea che l’ha fatta propria ha «agito nell’esercizio dei suoi poteri». E, si aggiunge: «La dottrina ha ritenuto l’ammissibilità dell’opposizione da parte della società a che il fiduciario non eserciti i diritti sociali allorchè ritenga che il patto fiduciario sia stato stipulato al fine di eludere norme di legge o di statuto»: «la legittimità di questo tipo di eccezione è stata ricondotta alla fattispecie del difetto di titolarità sostanziale in capo al fiduciario dei diritti sociali, così come lo si sarebbe potuto contestare al fiduciante». Alla fiduciaria, quindi, osserva il giudice, possono essere sollevate tutte le questioni «inerenti i rapporti con il titolare sostanziale» e l'eccezione sollevata da Mediaset «non configura abuso del diritto». Anche perchè è «incontestabile» che Vivendi ha violato l’articolo 43 del Tusmar (partecipazioni in Mediaset e Telecom con quote superiori al 10%), la violazione accertata dall’Agcom è «pienamente efficace, anche se non definitiva, perchè impugnata da Vivendi».
Infine, si legge ancora nelle motivazioni della sentenza, «non può dirsi che la conclusione del contratto di consulenza con Ersel Sim garantisca l’assoluta segregazione, al pari di un blind trust, delle azioni di Vivendi». Infatti, secondo il giudice, non può non considerarsi che: «la proprietà sostanziale delle azioni è rimasta in capo a Vivendi»; «la fiduciaria e Ersel Sim, comunque agiscono su incarico e nell’interesse di Vivendi»; «entrambi gli incarichi sono revocabili in ogni momento da parte di Vivendi»; «Vivendi si è riservata di impartire istruzioni sul voto in assemblea in ordine alle deliberazioni riguardanti gli oggetti previsti dall’articolo 2437 del codice civile» sul diritto di recesso.