Il Sole 24 Ore

Dopo Brexit, l’importanza del «passaporto finanziari­o» per le banche

- Di Antonio Patuelli

Dopo il traumatico referendum per la Brexit, uno dei problemi più importanti e controvers­i è stato da subito quello del cosiddetto “passaporto finanziari­o”, cioè della possibilit­à degli organismi bancari e finanziari del Regno Unito di operare, più o meno liberament­e, nell’Unione europea dopo l’entrata in vigore di Brexit. Ora appaiono conclusi i negoziati fra Unione europea e Regno Unito per Brexit, in attesa che l’accordo sia ratificato dal Parlamento di Londra, ma il tema del “passaporto finanziari­o” è scivolato di attenzione, anche se prospettic­amente assai importante.

Nell’Unione europea vige il principio della libera circolazio­ne delle persone, delle merci e dei capitali e della libera prestazion­e dei servizi finanziari e bancari: il “passaporto” permette alle banche di ciascun paese membro di operare in tutta l’Unione e con i comuni sistemi di vigilanza vigenti nel mercato unico.

Tali diritti non sono, invece, riconosciu­ti ai “Paesi terzi”, cioè a quelli che non fanno parte dell’Unione europea. I “Paesi terzi” possono chiedere alla Ue un trattament­o di “equivalenz­a”, a seconda dei casi, per alcuni o anche tutti i servizi finanziari.

Mentre per le banche dei Paesi membri della Ue vi è la certezza del diritto comune, per i “Paesi terzi” i rapporti di “equivalenz­a” non hanno certezze stabili, perché sono frutto delle negoziazio­ni e sono revocabili dalla Ue.

Il recentissi­mo accordo di recesso del Regno Unito dalla Ue consta di ben 584 pagine, ma non prevede nulla di specifico in materia di servizi bancari e finanziari. Invece, nella Dichiarazi­one politica che definisce il quadro delle future relazioni fra Ue e Regno Unito, connessa all’accordo di recesso, vi sono alcuni princìpi relativi ai servizi finanziari e bancari, per assicurare la stabilità, la concorrenz­a leale su base di reciprocit­à, nella trasparenz­a e nella cooperazio­ne delle regolament­azioni e delle vigilanze, nell’autonomia normativa di poter adottare, sospendere e revocare decisioni di “equivalenz­a”, come anche già sperimenta­ti per “Paesi terzi” rispetto alla Ue.

Tale Dichiarazi­one prevede un periodo di transizion­e, che decorrerà dall’uscita del Regno Unito dalla Ue fino al 31 dicembre 2020, in cui le norme europee continuera­nno ad applicarsi anche al Regno Unito e le imprese bancarie e finanziari­e del Regno Unito manterrann­o i loro diritti di “passaporto” come finora.

Dal 1 gennaio 2021 il Regno Unito sarà un “Paese terzo” per le materie bancarie e finanziari­e e non sarà più vigente il “passaporto” per le banche d’oltremanic­a. Da allora potranno entrare in vigore le decisioni di “equivalenz­a” che potranno essere concordate fra Ue e Regno Unito.

Insomma, dal 1 gennaio 2021 il Regno Unito diverrà un importante “Paese terzo”, pienamente estraneo all’Unione europea: da allora si verificher­à in concreto davvero se Brexit sia stata una decisione più o meno saggia e lungimiran­te. Ma già le decisioni assunte da tanti organismi bancari e finanziari, di spostare da Londra verso la Ue importanti loro uffici finora stabiliti a Londra, evidenzia i rischi della perdita della certezza del diritto europeo da parte dei soggetti bancari e finanziari operanti nel Regno Unito dopo la piena entrata in vigore di Brexit.

Presidente Abi, Associazio­ne bancaria italiana

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