Manovra Tria: serve responsabilità Modifiche in Parlamento
Il duello sulla manovra. Monti vota la risoluzione di maggioranza. Dombrovskis: «La modifica dev’essere considerevole». Costa: entro l’anno decreto antidissesto da 10 miliardi. Ieri nuovo vertice
L’idea di togliere almeno 4 miliardi dai fondi destinati a reddito di cittadinanza e pensioni si è fatta strada anche ai piani alti della maggioranza nel nuovo vertice di ieri sui conti. E il riequilibrio fra spesa corrente e investimenti nella manovra sarà uno degli argomenti che il premier Conte e il ministro dell’Economia Tria useranno nei bilaterali con i leader europei nella tre giorni argentina al G20, dov’è atteso anche un nuovo faccia a faccia tra Conte e il presidente della commissione Juncker. Ma toccherà al Parlamento tradurre in pratica queste indicazioni, anche se per la definizione delle regole su pensioni e reddito e il calcolo degli impatti delle diverse ipotesi è in pieno corso la triangolazione fra Mef, ministero del Lavoro e Inps: con numeri che potranno essere anche più ambiziosi, e che dovranno arrivare prima del 19 novembre quando è in calendario la riunione chiave della commissione (si veda Il Sole 24 Ore di ieri).
Come previsto, di cifre ieri non c’è stata traccia nelle comunicazioni di Tria all’Aula del Senato. Ma il ministro è tornato a indicare con parole chiare l’esigenza di «trovare spazi finanziari per migliorare l’equilibrio tra la necessità di sostenere ancora di più la crescita e quella di consolidare la sostenibilità dei conti pubblici». Anche perché «la prospettiva di una procedura d’infrazione pone oggi governo e Parlamento di fronte alla necessità di assumere una decisione di forte responsabilità». Questa convinzione, insieme alla necessità di «tenere conto dei timori dei nostri partner europei» e «dell’incertezza che pervade i mercati perché preoccupano le divergenze con l’Europa», sembra attecchire anche fra i leader politici del governo, limando le resistenze che ancora nel vertice di lunedì sera avevano diviso Tria da Salvini e soprattutto da Di Maio.
A Palazzo Madama la maggioranza ha approvato senza problemi (144 sì, 77 no e un astenuto) una risoluzione iper-sintetica che chiede al governo di continuare il confronto con la Ue. Al testo è arrivato anche il voto favorevole dell’ex premier Mario Monti. Un segnale non da poco, che fa il paio con le parole del Capo dello Stato (si veda l’articolo a fianco) nel gioco di pesi e contrappesi che provano a correggere senza troppi strappi la linea di politica economica.
All’atto pratico, per ora si tratta di ripensare la dote destinata alle spese correnti di reddito e pensioni e girarne almeno una quota agli investmenti straordinari su dissesto idrogeologico e manutenzione stradale. «Confidiamo di avere margini rispetto ai saldi finali - ha fatto eco a Tria Conte al termine del consiglio dei ministri -. E ritengo giusto che le risorse eventualmente recuperate vengano destinate agli investimenti». I 3,6 miliardi raccolti per questa via, e i 6,5 già scritti nei tendenziali, andrebbero a finanziare il piano straordinario che secondo il ministro dell’Ambiente Sergio Costa andrebbe definito in un “decreto antidissesto” da far partire entro fine anno. Sugli investimenti torna a premere anche il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, calcolando che per esempio «basterebbe spostare di due mesi» le misure di spesa corrente della manovra per finanziare tutta la quota italiana dei costi della Tav, «poco più di tre miliardi».
Difficile che le ipotesi di ribilanciamento trapelate finora bastino a evitare la procedura d’infrazione, su cui ieri la commissione è tornata a fare la voce grossa per bocca di Dombrovskis. La correzione deve essere «considerevole, e non marginale», ha spiegato il vicepresidente dell’esecutivo Ue, aggiungendo che il ritocco da due decimali di Pil di cui si è discusso finora «non sembra» sufficiente.
Ma tra gli obiettivi c’è anche quello di guadagnare tempo. E il botta e risposta è utile per inquadrare il terreno vero del confronto, che si concentra sul deficit strutturale più che sul 2,4% di nominale al centro del confronto politico domestico.
Le regole Ue chiedono una correzione strutturale (almeno 0,1% del Pil), mentre il programma italiano porta nel 2019 a -1,7% il saldo strutturale oggi a -0,9%. La distanza RomaBruxelles è lì. L’idea di dirottare 3,6 miliardi dalle spese correnti agli investimenti la ridurrebbe di due decimali di Pil. La «flessibilità» che Bruxelles può concedere per gli investimenti extra non può superare quel valore. Ma se la costruzione definitiva delle misure su pensioni e reddito riuscirà a far risparmiare di più, i conti finali potranno accantonare risorse per abbassare il 2,4% nominale e ridurre ulteriormente anche lo strutturale.
Per il presidente di Confindustria Boccia spostando le misure di spesa di due mesi si finanzierebbe la Tav