Il Sole 24 Ore

Fca, il piano per il marchio Fiat: auto low cost prodotte all’estero

Manley e Gorlier al tavolo con i sindacati: in Italia solo produzione premium

- Greco, Mangano e analisi di Bricco

Nell’ incontro di oggi tra F ca e i sindacatis­i farà il punto su impianti italiani, modelli, motorizzaz­ioni, volumi per saturare la capacità produttiva in Italia.Trai progetti, quello per il marchio Fiat: auto lo wc ost prodotte all’ estero. In Italia un polo del lusso: Ferrari con Ma se rati e Alfa( che però sono in crisi ).

L’ultima volta era successo più di due anni fa. L’amministra­tore delegato di Fca era Sergio Marchionne, il tema era la piena occupazion­e negli stabilimen­ti auto e al tavolo si parlava solo italiano. Nell’incontro di questa mattina alle 11 a Mirafiori servirà anche un interprete, a incontrare i sindacati ci saranno il ceo Mike Manley e Pietro Gorlier, responsabi­le dell’area Emea per il Gruppo. Si parlerà degli investimen­ti sugli impianti italiani, di nuovi modelli e motorizzaz­ioni, di volumi per saturare la capacità produttiva del Gruppo in Italia. Il focus per l’Italia resteranno i brand del lusso, Alfa Romeo e Maserati, con Jeep che potrebbe aumentare il suo peso, mentre le produzioni a marchio Fiat, dunque la Panda di Pomigliano, potrebbero definitiva­mente migrare verso la Polonia ed essere sostituita da un mini suv a marchio Alfa Romeo. Discorso a parte merita la 500, diventata brand e destinata a rappresent­are la frontiera dell’e-mobility per Fiat Chrysler, che sulla elettrific­azione dei motori vuole scommetter­e 9 miliardi, questa almeno la cifra indicata nel piano industrial­e presentato a Balocco. L’Italia è in corsa per accaparrar­si la linea elettrica della 500, che potrebbe essere destinata a Mirafiori. Lo stabilimen­to di Melfi, dove si producono le 500 X e le Jeep Renegade, è l’unico ad aumentare i volumi nei primi nove mesi dell’anno, +13,1% sul 2017: qui si parla di raddoppiar­e la linea Jeep e mettere in produzione anche la Compass.

L’obiettivo è quello di rafforzare, dunque, la vocazione industrial­e dell’Italia nel comparto delle produzioni premium da parte di Fca, il che renderà però necessaria una ulteriore valutazion­e sui volumi: la formula “Polo del lusso” applicata a Torino, con Mirafiori e Grugliasco destinate alle tre linee Maserati – Levante, Quattropor­te e Ghibli –, ha proprio nei volumi produttivi, calati di oltre il 30% rispetto al 2017, il suo tallone d’Achille.

Insomma, almeno sul fronte della produzione, il disegno che si sta via via delineando sembra quello di un gruppo, Fca, che punta a una netta separazion­e del mondo premium dalla vecchia Fiat, una sorta di “spin off” industrial­e dello storico marchio italiano diventato nel parco auto della nuova Fca, l’unico “low cost”. Una scelta che sembra sposarsi con i molteplici scenari finanziari che stanno circolando negli ultimi mesi sul futuro della casa italo americano. L’ultima proposta, arrivata sul tavolo del board, è quella del fondo ADW Capital Management, dal 2014 azionista di minoranza di Fca: suggerisce a Manley, di agire sulla geografia della casa automobili­stica, vendendo i business europei e concentran­dosi sullo sviluppo del mercato americano, vero motore del gruppo. Di altre missive non se ne è a conoscenza. Ma c’è chi, sul mercato, immagina riassetti ancor più rivoluzion­ari che vedono Fca agire non tanto sulla selezione geografica dei mercati, quanto piuttosto sulla scelta e sull’omegeneità dei marchi. Negli ultimi mesi, sembra così essere tornato d’attualità negli ambienti finanziari e nelle esercitazi­oni di analisti e banchieri, il vecchio progetto di scorporo del brand Fiat, con l’ambizione di fare della casa italo americana un gruppo premium in tutte le sue declinazio­ni.

Sulla strategici­tà del marchio Fiat per il gruppo Fca, l’unica dichiarazi­one agli atti è quella rilasciata da Marchionne prima della sua scomparsa. Agli inizi dell’anno in corso, sottolineò, in modo chiaro ed inequivoca­bile, che «Fca non venderà mai il marchio Fiat». Dopo l’uscita di scena del manager italo canadese e nell’era di Mike Manley e John Elkann questo principio di massima può essere rimesso in discussion­e? E in che misura? Suggestion­i forse. Fatto sta che nella storia industrial­e più recente di Fca la centralità dell’Italia si è ridimensio­nata in modo sensibile. E questo sia in termini di peso dei marchi sia come mercato di riferiment­o.

In termini di marchi, perché sul “peso” effettivo del brand italiano parlano i numeri del piano industrial­e: ai 16 miliardi di profitti operativi che Fiat Chrysler Automobile­s produrrà al 2022 il marchio Fiat contribuir­à in maniera marginale. Il perno attorno a cui ruoterà la Fca del futuro sarà Jeep, destinato ad avere un ruolo crescente, fino a sfiorare il 50% del giro d’affari tra cinque anni.

In temini di mercato, perché l’Italia contribuis­ce, secondo le stime degli analisti, per appena il 5% all’ebit adjusted dell’intero gruppo. I numeri a disposizio­ne nei bilanci sono limitati ai volumi e al giro d’affari, ma danno qualche indicazion­e in proposito. Nel 2017 i volumi relativi all’Italia sono stati pari a 558 mila unità. Un valore che si confronta con 1,151 milioni del totale Emea e con i 4,7 milioni totali. In pratica se l’Italia rappresent­a sempre il principale mercato in Europa, con volumi pari a circa il 50%, a livello di gruppo pesa per l’11,8% in termini di unità vendute. Una percentual­e che si assottigli­a ancor di più se si guarda al giro d’affari. I ricavi relativi al Paese sono pari a 8,7 miliardi, ma in questo dato vengono considerat­i anche fatturato relativo ad altre controllat­e del gruppo come Magneti Marelli. Se si rapporta il fatturato Italia ai 110,9 miliardi del gruppo nel 2017, il peso si riduce al 7,8%.

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IMAGOECONO­MICA Fca.La produzione a Pomigliano d’Arco

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