Bankitalia e quel tesoro da 2.452 tonnellate
Via Nazionale è il quarto detentore di riserve auree al mondo
Di tanto in tanto le riserve auree della Banca d’Italia tornano sotto i riflettori e accendono tutte le suggestioni tipiche che solo il metallo giallo, da sempre, sa suscitare. Quanto valgono, dove sono, a che cosa servono, di chi sono veramente? Tante domande, tutte interessate naturalmente, per capire se e come sia mai possibile utilizzare quell’asset per dare vita a una qualche operazione di politica economica nazionale o europea.
In tanti ci hanno pensato. Ecco le due occasioni più recenti e illustri. Nel pieno della crisi dei debiti sovrani, a metà del 2011, Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio proposero la costituzione di un Fondo finanziario europeo, con capitale costituito da riserve auree degli Stati membri, per abbattere il debito pubblico e rilevare 2,3 trilioni di titoli di Stato Uem. Due anni prima, nel 2009, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, tentò invece di tassare le plusvalenze sull’oro della Bankitalia, ma fu bloccato dalla Bce, all’epoca guidata da Jean-Claude Trichet.
Tutti i segreti sull’oro di via Nazionale sono stati raccontati nel bellissimo libro pubblicato lo scorso gennaio per i tipi del Mulino dal direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, una lettura imperdibile per chi volesse conoscere la lunga storia di quei lingotti.
Per proporre una sintetica risposta ai tanti perché sulle riserve auree vale qui la pena partire dall’ultimo Bilancio 2017 di Bankitalia, approvato nel marzo scorso, per dire che stiamo parlando di un valore pari a circa 85,3 miliardi di euro (erano 87 miliardi ai prezzi di mercato di fine 2016), poco più del 9% del totale dell’attivo, salito lo scorso anno a 931 miliardi (+20%) soprattutto in virtù dell’incremento del portafoglio titoli generato dalla politica monetaria espansiva decisa dalla Bce.
Ma ecco i numeri più dettaglio delle riserve, controllate anno dopo anno non solo da chi le custodisce ma anche dalla società di revisione contabile che certifica il bilancio di Bankitalia. Sono pari in totale a 2.452 tonnellate - delle quali 4,1 tonnellate sotto forma di moneta (si tratta di 871.713 pezzi di moneta il cosiddetto “oro monetato”) e le rimanenti sotto forma di lingotti. L’ultima variazione quantitativa risale all’inizio del 1999, in occasione dell’avvio dell’Unione economica e monetaria, quando Bankitalia conferì alla Bce 141 tonnellate di metallo. La Banca d’Italia è il quarto detentore di riserve auree al mondo, dopo la Fed, la Bundesbank e il Fondo monetario internazionale. Solo 1.100 tonnellate (poco più del 44%) di quell’oro è in Italia, il resto è detenuto nei caveau di altre banche centrali per ragioni storiche, legate ai luoghi in cui l’oro fu acquistato, ma anche a una strategia di diversificazione finalizzata alla minimizzazione dei rischi e dei costi di gestione: il 43,29% è negli Usa, il 6,09% in Svizzera e il 5,76% nel Regno Unito.
La gestione di queste riserve è vincolata dal rispetto dell’articolo 31 dello Statuto dell’Eurosistema e contribuisce alla «solidità patrimoniale della Banca a fronte dei rischi cui questa è esposta nello svolgimento delle sue attività istituzionali» come si legge nelle numerose note sul tema pubblicate sul sito web di Via Nazionale. Non solo. La loro gestione è sottoposta al divieto di finanziamento monetario previsto dall’articolo 123 del Trattato Ue. Insomma le riserve sono un baluardo a difesa delle crisi valutarie e contro il rischio sovrano, servono per rafforzare la fiducia nella stabilità del sistema finanziario italiano e della moneta unica.