Vendite a tappe forzate: la Vigilanza brinda, gli azionisti no
Dopo i 74 miliardi del 2017, le cessioni di crediti deteriorati lordi da parte delle banche italiane raggiungeranno un nuovo record nel 2018. Ai 60 miliardi di vendite realizzate nei primi tre trimestri dell'anno, secondo un recentissima stima di Pwc, si aggiungeranno altri 30 miliardi negli ultimi tre mesi dell’anno (compresi quelli in arrivo da BancoBpm) che porteranno il totale delle cessioni lorde nel 2018 a superare i 90 miliardi. In due anni la riduzione di Npe a tappe accelerate imposta dalla Vigilanza Bce sarà di 164 miliardi. Il dimezzamento dello stock dei crediti deteriorati lordi (erano 324 miliardi a fine 2016) ha certamente compiaciuto i vigilanti europei, come ha ammesso madame Nouy, presidente a fine mandato dell’Ssm, nell’intervista di pochi giorni fa a IlSole24Ore.
Se la Vigilanza brinda ai propri successi, non altrettanto si può dire per gli azionisti delle banche (non tutti, come vedremo) che sono stati chiamati a sopportare i costi delle cessioni a prezzi da saldo imposte dai processi di vendita accelerata. Impossibile fare una stima puntuale di quanto valore sarebbe stato trattenuto dalle banche se esse avessero potuto procedere gradualmente al recupero per via interna anziché svendere in tempi rapidi. Ma è evidente che, anche solo ipotizzando un 5-10% dei 164 miliardi complessivi, la perdita di valore per gli azionisti delle banche è stata elevata e a beneficiare del trasferimento di ricchezza sono stati i grandi fondi di private equity Usa che hanno acquistato gli Npl. Fondi che, sovente, sono anche azionisti delle banche. Azionisti privilegiati, proprio per il ruolo di acquirenti a sconto degli Npl, rispetto al resto degli investitori.
Tra i costi sopportati dagli azionisti di alcune banche ci sono poi gli oneri collegati alle ricapitalizzazioni necessarie a ripristinare i ratios patrimoniali erosi dalle minusvalenze sulla svendita degli Npl. Sorte forse peggiore hanno avuto infine gli azionisti di quegli istituti che, evitando a tutti i costi di ricapitalizzare, hanno dovuto realizzare plusvalenze cedendo i «gioielli di famiglia» in business redditizi come l’asset management e il credito al consumo. Rinunciando agli utili futuri e avvicinandosi - chi più, chi meno - a un modello di pura rete distributiva di prodotti altrui.
È stato fatto proprio un bel lavoro, direbbe madame Nouy.