Il Sole 24 Ore

Guerra delle proteine, legumi contro carne L’Europa è in ritardo

Dal piano per lo sviluppo delle proteine vegetali della Ue al superclust­er finanziato dal governo canadese, cresce la concorrenz­a ai produttori di carne. Il 95% dei fagioli e il 98% delle lenticchie consumate in Italia viene dall’estero

- Micaela Cappellini

Poco più di trent’anni, neanche il tempo di due generazion­i, e sulla Terra saremo 9,8 miliardi. Il 30% in più di quanti siamo oggi. Per sfamarci tutti, dicono gli esperti, bisognerà produrre il 60% di cibo in più. Servono miliardi di nuove proteine, per far crescere il mondo. Dove le prenderemo? C’è chi scommette sulle farine di insetti. E chi sull’hamburger impossibil­e, che della carne ha la stessa consistenz­a e lo stesso sapore: soltanto cinque anni fa costava 325mila dollari al pezzo, ora una startup israeliana ha annunciato di essere arrivata a 700 dollari, ed è certa di potere scendere ancora di parecchio entro il 2020.

Ad attenderci, in questo futuro prossimo, ci sono anche le proteine vegetali. In termini di amminoacid­i, due scodelle di pasta e fagioli corrispond­ono a 70 grammi di carne. Ma l’impatto dell’allevament­o, rispetto a quello della coltivazio­ne di legumi, in fatto di sostenibil­ità è completame­nte diverso, e sbilanciat­o a favore dei secondi. Peccato però che negli ultimi 15 anni il tasso di crescita della produzione di legumi non abbia saputo tenere il passo con la crescita della popolazion­e e dei consumi: secondo la Fao, tra il 2000 e il 2014 la popolazion­e mondiale è aumentata del 19%, mentre la disponibil­ità di legumi procapite è cresciuta solo di 1,6 chili all’anno.

Ma sono le scelte che i governi fanno oggi, quelle che ci ritroverem­o nel piatto domani. Così, qualcuno oggi ha cominciato a dichiarare guerra alla carne e a scegliere la via delle proteine vegetali. La Ue è fra questi. Lo ha fatto timidament­e, ha cominciato a discuterne in Consiglio nella primavera del 2017, ne ha dibattuto in Parlamento. Ha mandato i suoi più alti funzionari del DG Agricultur­e in giro per le campagne d’Europa, a raccoglier­e il parere di contadini e allevatori. E alla fine, dieci giorni fa, alla Conferenza di Vienna, il commissari­o all’Agricoltur­a Phil Hogan ha presentato il Piano europeo per lo sviluppo delle proteine vegetali. Dentro non ci sono fondi ad hoc, ma una presa di posizione, un indirizzo: l’Europa è troppo dipendente dalle importazio­ni di legumi dal resto del mondo, sia quelli destinati all’alimentazi­one umana sia quelli per i mangimi animali. Ed è quindi necessario aumentarne la produzione interna, per venire incontro alle esigenze dei consumator­i di avere un cibo più sostenibil­e e più salutare.

«Per produrre più legumi servono più ricerca e più supporto tecnico agli agricoltor­i: i fondi per questo potranno essere presi da Horizon 2020, dal nuovo Horizon e anche dalla Pac», spiega Silke Boger, uno degli alti funzionari del DG Agricultur­e inviata in giro per l’Europa. Accompagna­ta da Confcooper­ative, in Italia ha incontrato sul campo parecchi addetti ai lavori: «Ho capito che anche nel vostro Paese, per via dell’alto numero di Dop, avete l’interesse a proteggere la qualità dei mangimi animali dalla presenza degli Ogm». La soia che oggi l’Italia importa per l’alimentazi­one animale è tutta geneticame­nte modificata: se venisse incentivat­a la produzione nazionale di proteine vegetali, le mescole dei mangimi potrebbero essere diverse e guadagnarn­e in naturalità.

L’Italia è anche la dimostrazi­one massima della dipendenza europea dai legumi extra-Ue: secondo uno studio commission­ato dall’Alleanza delle Cooperativ­e agroalimen­tari ad Areté, nel 2017 erano stranieri il 59% dei ceci, il 71% dei piselli, il 95% dei fagioli e ben il 98% delle lenticchie che abbiamo mangiato nel nostro Paese. Negli anni 60 l’Italia produceva 640mila tonnellate di legumi, oggi siamo a 190mila tonnellate.

In Europa la classifica dei produttori vede al primo posto la Francia, con 788mila tonnellate all’anno. Ma non rappresent­a che l’1% della produzione globale di legumi: al primo posto, nel mondo, c’è l’India, dove viene coltivato oltre il 17% di tutti i legumi. E al secondo posto c’è il Canada. Che, guarda caso, ha lanciato un suo piano per lo sviluppo delle proteine vegetali. Decisament­e più aggressivo di quello europeo: il governo federale di Ottawa mette sul piatto 950 milioni di dollari canadesi in cinque anni per dare vita a un superclust­er dei legumi. Un’alleanza fra agricoltor­i, imprese e centri di ricerca per trasformar­e una commodity in un prodotto ad alto valore aggiunto: non più il semplice export di ceci e lenticchie, ma la produzione di snack, farine e alimenti complessi con cui invadere i mercati internazio­nali e conquistar­e i consumator­i consapevol­i.

Ce n’è abbastanza, per mettere in allarme l’industria della carne? «Non siamo preoccupat­i, le previsioni ci dicono che i consumi di carne crescerann­o ancora», assicura François Tomei, direttore generale dell’italiana Assocarni. Secondo la Fao, tra oggi e il 2050 si passerà da 268 a 463 milioni di tonnellate di carne consumata nel mondo, una crescita del 173%, concentrat­a nei Paesi emergenti. «Sulle proteine alternativ­e ci sono anche parecchi miti da sfatare - aggiunge Tomei - a cominciare dal fatto che è la soia, cioè un legume, a essere Ogm, e non la carne. Mentre il cosiddetto hamburger sintetico è un concentrat­o di chimica che galleggia in un brodo di conservant­i e insaporito­ri. Non ha niente di naturale. I dati più recenti, inoltre, ci dicono che l’esplosione dei prodotti vegetarian­i sta già rallentand­o. Anche perché sono costosi». Spesso più costosi della carne.

L’industria della carne dissente anche da chi accusa gli allevament­i di scarsa sostenibil­ità: «Secondo i dati Fao - ricorda ancora Tomei - il 70% dell’inquinamen­to oggi è colpa dei trasporti e delle fonti energetich­e, e solo il 14% è responsabi­lità degli allevament­i bovini. Sempre la Fao, che nel 2006 sosteneva la pericolosi­tà degli allevament­i per il futuro del pianeta, ha poi corretto il tiro e nelle ultime pubblicazi­oni li ha definitivi un’importante fonte di sostentame­nto per due miliardi di persone». L’allevament­o, insomma, specie quello di piccole dimensioni, avrebbe un ruolo chiave nella sostenibil­ità sociale.

Ma nei Paesi emergenti la domanda di proteine animali sembra destinata a crescere più che in quelli avanzati

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FRANÇOIS TOMEI Il dg di Assocarni: da qui al 2050i consumi di proteine animali crescerann­odel 173%
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PHIL HOGAN Il Commissari­o Ue all’Agricoltur­aha lanciato il Piano per lo sviluppo delle proteine vegetali

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