Scapestrate badanti in un flusso di coscienza
Lucia Calamaro è un’autrice-regista che di solito si costruisce da sé i propri spettacoli, improntando la recitazione e la gestualità degli attori a un ritmo interiore che, in qualche modo, le corrisponde, ne richiama un certo modo di essere e di parlare: non a caso, a volte, ha interpretato lei stessa i suoi testi, o ha scelto attrici che, per così dire, le somigliassero, che sapessero ricalcare naturalmente le piccole o grandi nevrosi che sono l’essenza dei suoi personaggi. È stato interessante vedere dunque per la prima volta un suo scritto nato su richiesta di una compagnia, che per giunta si faceva interamente carico di metterlo in scena. La compagnia, tutta femminile, è il gruppo romano MitiPretese, la pièce, Sindrome italiana, riguarda un tema strettamente legato alla società di oggi come quello delle badanti, e anche questa è una novità per un’autrice che non si è mai mostrata particolarmente propensa ad affrontare questioni d’attualità. La sindrome italiana è, a quanto ci fanno sapere, la defini
zione che viene data da alcuni psichiatri a una particolare forma di depressione che colpisce le donne dell’Est tornate in patria dopo avere lavorato a lungo nel nostro Paese, e che si trovano spaesate, senza più punti di riferimento.
La Calamaro prova a ribaltare lo schema immaginando che a fare le badanti all’estero siano tre italiane costrette dal bisogno ad abbandonare per un certo tempo le loro famiglie. Le tre giovani donne, di buona cultura, devono insomma misurarsi coi lati pratici della vita: e ciò comporta qualche contraddizione, perché quello della Calamaro è un teatro prettamente introspettivo, che dà voce alle contorsioni esistenziali, alle fobie, alle ipocondrie di un’intellettuale borghese. Ma qui si tratta di lavare e di vestire anziani e bambini, l’introspezione e gli smarrimenti esistenziali trovano spazio solo a tratti. Inoltre le tre brave e appassionate attrici, Manuela Mandracchia, Sandra Toffolatti e Mariangeles Torres, tendono, per abitudine e formazione, a recitare più che a lasciarsi andare a quella sorta di flusso di coscienza che è il nucleo dello stile della Calamaro. L’unica che in certi momenti sembra cogliere istintivamente l’intonazione di quel farfugliare inconcludente, di quei pensieri lasciati in sospeso è la Torres, stralunata “Miss Badante”. Ma la mano dell’autrice si riconosce a fasi alterne, come se il testo fosse composto di pezzi diversi. Così lo spettacolo, visto al Teatro Santa Chiara Mina Mezzadri di Brescia, sembra riuscito a metà, mai del tutto spinto verso il paradosso, mai del tutto “vero”, sempre affettuoso, a volte fresco, intelligente, a volte a rischio di banalità. Ciò che funziona meno sono a mio avviso le parti coreografiche, sia quelle affidate alle protagoniste, sia quelle che vedono impegnata una danzatrice, Monica Bianchi, nei panni degli anziani accuditi dalle tre, che risultano davvero improbabili.