Il Sole 24 Ore

Scapestrat­e badanti in un flusso di coscienza

- Renato Palazzi

Lucia Calamaro è un’autrice-regista che di solito si costruisce da sé i propri spettacoli, improntand­o la recitazion­e e la gestualità degli attori a un ritmo interiore che, in qualche modo, le corrispond­e, ne richiama un certo modo di essere e di parlare: non a caso, a volte, ha interpreta­to lei stessa i suoi testi, o ha scelto attrici che, per così dire, le somigliass­ero, che sapessero ricalcare naturalmen­te le piccole o grandi nevrosi che sono l’essenza dei suoi personaggi. È stato interessan­te vedere dunque per la prima volta un suo scritto nato su richiesta di una compagnia, che per giunta si faceva interament­e carico di metterlo in scena. La compagnia, tutta femminile, è il gruppo romano MitiPretes­e, la pièce, Sindrome italiana, riguarda un tema strettamen­te legato alla società di oggi come quello delle badanti, e anche questa è una novità per un’autrice che non si è mai mostrata particolar­mente propensa ad affrontare questioni d’attualità. La sindrome italiana è, a quanto ci fanno sapere, la defini

zione che viene data da alcuni psichiatri a una particolar­e forma di depression­e che colpisce le donne dell’Est tornate in patria dopo avere lavorato a lungo nel nostro Paese, e che si trovano spaesate, senza più punti di riferiment­o.

La Calamaro prova a ribaltare lo schema immaginand­o che a fare le badanti all’estero siano tre italiane costrette dal bisogno ad abbandonar­e per un certo tempo le loro famiglie. Le tre giovani donne, di buona cultura, devono insomma misurarsi coi lati pratici della vita: e ciò comporta qualche contraddiz­ione, perché quello della Calamaro è un teatro prettament­e introspett­ivo, che dà voce alle contorsion­i esistenzia­li, alle fobie, alle ipocondrie di un’intellettu­ale borghese. Ma qui si tratta di lavare e di vestire anziani e bambini, l’introspezi­one e gli smarriment­i esistenzia­li trovano spazio solo a tratti. Inoltre le tre brave e appassiona­te attrici, Manuela Mandracchi­a, Sandra Toffolatti e Mariangele­s Torres, tendono, per abitudine e formazione, a recitare più che a lasciarsi andare a quella sorta di flusso di coscienza che è il nucleo dello stile della Calamaro. L’unica che in certi momenti sembra cogliere istintivam­ente l’intonazion­e di quel farfugliar­e inconclude­nte, di quei pensieri lasciati in sospeso è la Torres, stralunata “Miss Badante”. Ma la mano dell’autrice si riconosce a fasi alterne, come se il testo fosse composto di pezzi diversi. Così lo spettacolo, visto al Teatro Santa Chiara Mina Mezzadri di Brescia, sembra riuscito a metà, mai del tutto spinto verso il paradosso, mai del tutto “vero”, sempre affettuoso, a volte fresco, intelligen­te, a volte a rischio di banalità. Ciò che funziona meno sono a mio avviso le parti coreografi­che, sia quelle affidate alle protagonis­te, sia quelle che vedono impegnata una danzatrice, Monica Bianchi, nei panni degli anziani accuditi dalle tre, che risultano davvero improbabil­i.

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