Claudia Cardinale tra cinema e letteratura
La ragazza di Bube, il capolavoro di Cassola che nel 1960 vinse il Premio Strega, uscì per Einaudi con un primo piano di donna dai capelli color ruggine in sovraccoperta, mentre osserva qualcosa che la incanta. Il volto proviene da un quadro di Federico Zandomeneghi,
Sul divano, di incerta datazione ma
efficace nell’indicare che si tratta di
una storia tra guerra e amore, raccontata dalla prospettiva di Mara anziché di Bube. Quattro anni dopo, quando Luigi Comencini realizza la versione
cinematografica, la faccia di Mara
non ha più l’aspetto diafano e assente della ragazza di Zandomeneghi, ma la carnalità mediterranea di Claudia Cardinale. Sarà lei la fidanzata di Bube e lo sguardo passionale dell’attrice comparirà sulle copertine delle edizioni tascabili del 1965 e del 1970.
Questo scambio non è l’unico caso
di traslitterazione grafica in cui capi
ta di imbattersi visitando la mostra che rimarrà aperta a Parigi fino al 21 dicembre presso l’Istituto italiano di cultura. Un procedimento simile avviene per il romanzo di Brancati, Il
bell’Antonio, edito nel 1949 e portato sul set da Mauro Bolognini, sempre nel 1960. La scena in cui Marcello Mastroianni si avvicina a baciare il braccio destro della Cardinale - la scena di un silenzio che significa insuccesso - trasmigra sulla copertina dell’Oscar Mondadori del 2001, sostituendo l’immagine del gallo (che nella princeps di Bompiani era una allusione alla sfera sessuale del maschio siciliano) con le atmosfere seducenti di un nudo di donna distesa su un letto. Il fatto che un romanzo arrivi in libreria con una copertina diversa rispetto a quella scelta inizialmente fa pensare alla Cardinale come a un’icona che si è nutrita di occasioni letterarie. La sua forza sta nell’aver prestato il volto a una folla di personaggi femminili venuti fuori dalla penna degli scrittori e subito entrati nel linguaggio cinematografico sotto la guida di maestri: Visconti, Germi, oltre a Bolognini e Comencini. Come dimenticare la scena del
Gattopardo di Visconti? Angelica sa di essere simbolo di una Sicilia ammaliante e nient’affatto intimorita dal decrepito rappresentante del vecchio mondo borbonico, che ha i tratti irruenti della capigliatura di Burt Lancaster e le offre, come ultimo gesto prima di cedere all’irrompere della nuova Storia, il privilegio di un ultimo ballo. Siamo ai vertici di un immaginario che si origina sul terreno della letteratura ma che presto viene fagocitato dalla più novecentesca e politecnica delle Muse. Siamo nei corridoi ideali di una passeggiata forse nel periodo più bello del cinema italiano, quello in cui Germi, per esempio, si ispira al Pasticciaccio gaddiano e ci ricava un film, Un maledetto imbroglio, recensendo il quale Pasolini trova la formula che dà il titolo alla mostra: Claudia Cardinale. Quel viso di umile, di gatta, e così selvaggiamente perduta... Cassola, Pasolini, Gadda, Tomasi di Lampedusa: non c’è dubbio che sia stato il cinema a trovarsi in funzione ancillare rispetto alla narrativa, ma nessuno può ignorare gli effetti di ritorno, i magnetici riverberi arrivati alla letteratura da parole e sguardi impressi sopra le pellicole. Nessuno oggi penserebbe a Il
ponte della Ghisolfa di Testori senza tenere conto del film Rocco e i suoi
fratelli, senza ipotizzare cioè che qualcosa sia stato fissato nella memoria di una nazione umile ma non rassegnata tramite l’elegante, malinconico, bianco e nero della pellicola. La presenza della Cardinale tra questi libri contiene il segreto più originale che ci rimane di quell’Italia: non solo la capacità di produrre storie da far entrare nei circuiti della vita comune attraverso la macchina da presa, ma la lungimiranza di un progetto culturale che forse dovremmo recuperare. Ce ne siamo dimenticati, ma non è la cronaca di quanto avviene in strada a nutrire l’immaginario di un popolo, piuttosto le opere della creatività letteraria.
Solo attraverso di esse è stato possibile ricostruire l’identità di una nazione che in quegli anni viveva il suo momento migliore, proliferava nel mito del benessere che aveva il passo nella modernità, cercava e trovava i propri idoli nelle figure impresse sulla celluloide. Non per ricordare come eravamo, piuttosto per rassomigliarle.