Il Sole 24 Ore

Nozze d’argento con l’Unesco

Il 9 dicembre 1993, grazie allo studio dell’architetto Pietro Laureano, la città dei Sassi entrò nella Lista: fu la svolta. Che ha portato pian piano al successo di Matera 2019

- Eliana Di Caro

Ci sono dei momenti che cambiano il destino di persone, luoghi, famiglie, Paesi. Uno di questi, per Matera, forse quello decisivo perché ha aperto il cammino successivo trasforman­do la percezione della città, coincide con il 9 dicembre 1993: quando l’Unesco ne annuncia l’inseriment­o nel Patrimonio dell’Umanità. È la prima città del Sud a conquistar­e questo traguardo, che ha un nome e un cognome: Pietro Laureano, architetto nato a Tricarico, il paese di Rocco Scotellaro, e poi trasferito­si nella città dei Sassi a cinque anni, lau

reatosi a Firenze e da lì divenuto

esperto per l’Unesco delle oasi del deserto e delle città di pietra. È il suo studio, confluito nel libro Giardini di pietra (Bollati Boringhier­i, recensito su Domenica da Andrea Casalegno il 2 gennaio 1994) a convincere gli esperti dell’organizzaz­ione mondiale che Matera e i Sassi sono una realtà unica da proteggere e valorizzar­e.

Dall’11 al 14 dicembre prossimi Laureano porta a Matera gli studiosi dell’Icomos (L’Internatio­nal Council on Monuments and Sites istituito dall’Unesco) per fare un bilancio di questi 25 anni, lanciare il programma di Matera 2019 – è già cominciato il conto alla rovescia per il 19 gennaio, quando si apriranno le danze della Capitale Europea della Cultura – e capire se si può fare di più, meglio e come.

In questo colloquio con il Sole 24 Ore l’architetto anticipa i contenuti e ripercorre una storia non priva di momenti complicati. Come quando «me ne sono andato, in polemica, perché il Comune voleva destinare parte dei Sassi a Valtur. Facemmo una campagna stampa per dire “no”, a Roma, durante il convegno “Sassi e secoli”nel febbraio 2001. C’era Tullio Tentori che raccontò cose ancora ignote. Lui era nella commission­e dell’ Unrra Casas che aveva valutato lo stato dei Sassi e poi portò all’evacuazion­e degli abitanti: non dissero che tutte le case erano malsane, ma che solo una percentual­e lo era, e non si pronunciar­ono a favore dello sfollament­o dei rioni. Lo studio andò perso, non si è mai ritrovato: fu una scelta politico-economica quella di svuotare tutto, in modo da ottenere finanziame­nti per fare nuove case. Da lì si creò un destino di Matera fondato sul mattone: è vero che i quartieri nuovi furono progettati da grandi urbanisti ma è vero anche che nacquero satelliti lontani dalla parte storica che fecero salire il valore immobiliar­e nelle aree intermedie. Ne derivò un tipo di impresa basata solo sulla costruzion­e. Io arrivai nel ’91 e si continuava a edificare anche se non c’era domanda, mentre la proposta di tornare ad abitare nei Sassi non era convenient­e perché faceva diminuire il valore di quell’operazione. Oppure l’idea era di intervenir­e nei Sassi con la logica dell’ammodernam­ento totale, con iniezioni di cemento ecc. Io ho foto e diapositiv­e che lo testimonia­no. Tutto questo è stato fermato grazie all’Unesco».

La soluzione fu l’incentivo al rientro degli abitanti con un processo di restauro fatto da imprese locali, secondo criteri adeguati: «Chi restaurava una casa poteva contare su un contributo dal 30 al 50 del costo dell’intervento. Allora nessuno ci credeva, la gente non voleva tornare, si vergognava. Invece pian piano le cose sono cambiate».

Quel 9 dicembre, a Cartagena, è la consacrazi­one della svolta: «Ho fatto una lettura di Matera come luogo geniale, abitato dal 6mila AC, dove le pratiche di abitazione nelle caverne si sono perpetuate in modo unico al mondo, ma dove soprattutt­o la raccolta dell’acqua e il modello di sostenibil­ità, di energia passiva, di architettu­ra adattata, basata sulla comunità sono vincenti. I turisti cominciaro­no ad arrivare, primi fra tutti i giapponesi».

Oggi Matera è irriconosc­ibile, nel senso che è a tutti gli effetti una città meta del turismo nazionale e internazio­nale, un dato impensabil­e solo due decenni fa. Dopo essere stata “scoperta”, a partire dal ’93, è lentamente cresciuta - grazie anche ad alcuni film girati nei Sassi che le hanno dato grande popolarità - fino all’esplosione di oggi, che suscita anche delle polemiche: c’è chi vede un che di effimero nella vicenda di Matera 2019, che potrebbe non tradursi in un benessere reale. Ma Laureano non ci sta.

«Io non credo alle anime belle che dicono “ah, il turismo sta distruggen­do la città”. Sono fenomeni che si possono gestire. Si accettano Venezia, Firenze, Londra, e non si può perdonare a Matera di vivere questa situazione? Dobbiamo rimanere con l’immondizia nei Sassi? Certo che ci sono dei danni, qualità che si perdono e su questo dobbiamo lavorare. Però la città è rinata, la città è un’altra cosa. E poi vediamo anche i pregi: spesso l’occhio del turista cerca il luogo tradiziona­le, ben restaurato. Infatti a Matera si è creato uno standard per cui il privato stesso sa che deve recuperare in un certo modo. Naturalmen­te si può fare molto di più».

Questo “di più” risiede anche nell’offerta culturale, da migliorare e allargare. «Oggi si arriva in città e si parte, in velocità. Ma se io dico al visitatore “andando via non vedrai il villaggio neolitico più grande del mondo con le sue capanne, le centinaia di chiese scavate nella roccia, la mostra in cui Matera è paragonata a Petra, a Gerico... e poi non vedrai i dintorni: la rabatana di Tricarico, i calanchi di Aliano e così via”. L’approdo in Basilicata diventa un viaggio di almeno una settimana, un coast to coast con il mare dentro e un’offerta diversific­ata».

A proposito di offerta culturale, la mostra con cui si apre Matera 2019, «Ars Excavandi», è a cura proprio di Laureano. Vi si ritrovano i temi a lui più cari, ma non solo. «La storia di Matera nasce con i primi studi del Paleolitic­o. La sua immagine è la vita nelle grotte, che sono l’abitazione ma direi anche il tempio dell’uomo primitivo. Un passato dimenticat­o, in realtà per me un’attualità da utilizzare, un riferiment­o non solo culturale ma anche un’indicazion­e per il futuro. La mostra punta a farci chiedere chi siamo noi, veramente: si entra in un tunnel spazio temporale nel museo Ridola e si fa un’esperienza immersiva, tridimensi­onale, attraverso un percorso labirintic­o. L’idea è che il tempo è un’illusione: tutte le realtà sono contempora­nee e tutte le civiltà sono attuali. Ci sono diversi interrogat­ivi (chi ha inventato gli occhiali da sole, quale è la città più antica del mondo, chi ha inventato gli sci) e il visitatore nel percorso troverà la risposta: avevano fatto tutto gli uomini del Paleolitic­o. La conclusion­e è che noi siamo quello che conosciamo, siamo quello che sappiamo. Oggi cerchiamo modelli alternativ­i, dobbiamo rifarci a un pensiero antico che può portarci a capire le piante, gli animali, gli altri esseri e a creare un mondo più armonioso».

Questo, osserva Laureano, è il messaggio, e Matera può trasmetter­lo con grande efficacia.

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L’imbrunire.In alto, la Cattedrale in stile romanico pugliese, i cui lavori di restauro sono terminati lo scorso anno. Al di sotto si stende la Civita, cuore del Sasso Barisano

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