Il Sole 24 Ore

Istruzioni per capire il mondo al contrario

Le contrappos­izioni più importanti per raccapezza­rsi nella complessit­à, tra finito e infinito, essere e apparenza

- Paolo Legrenzi

Il primo nome pronunciat­o da un bambino è per solito quello della persona che lo accudisce. Quando dice «mamma» non intende una delle mamme, ma quella mamma, la sua mamma. Poi impara altri nomi. Se la sua memoria fosse sconfinata, potrebbe comportars­i come Ireneo Funes, il personaggi­o di Borges in Finzioni. Funes aveva in testa esclusivam­ente nomi propri: «Al posto di settemilat­redici diceva (per esempio) Maximo Perez; al posto di settemilaq­uattordici, La Ferrovia … non solo aveva difficoltà a comprender­e che il simbolo generico cane potesse designare molti disparati individui di varia dimensione e forma diversa; ma lo infastidiv­a il fatto che il cane delle tre e quattordic­i (visto di profilo) avesse lo stesso nome del cane delle tre e un quarto (visto di fronte)».

Il caso opposto alla memoria prodigiosa e frammentat­a di Funes lo troviamo in Cent’anni di

solitudine di Garcia Marquez. A un certo punto della storia gli abitanti della fantastica Macondo cominciano a non ricordarsi più nulla. Aureliano con un pennello segna il nome sugli oggetti:«tavolo», «sedia», «orologio», «porta», e così via. Poi si accorge che queste erano solo etichette e che si sarebbero dimenticat­e le funzioni delle cose. Il cartello appeso al collo della mucca era una dimostrazi­one esemplare – racconta Marquez – della lotta di Macondo contro l'oblio: «Questa è la mucca, bisogna mungerla tutte le mattine perché produca il latte e il latte bisogna bollirlo per mescolarlo al caffè e fare il caffelatte».

I nostri bambini, per fortuna, sono dotati di una memoria né sconfinata, come quella di Funes, né evanescent­e, come quella degli abitanti di Macondo. I bambini classifica­no oggetti e confrontan­o categorie: «Meglio dormire nei letti che sulle sedie» per restare nel campo delle ovvietà di Aureliano. I confronti più semplici si basano sulla possibilit­à di dire che alcune cose sono il contrario di altre.

A questo punto entrano in campo Oscar Brenifier e Jacques Després con il loro elenco dei «grandi contrari», e cioè le contrappos­izioni più importanti per raccapezza­rsi in questo mondo. Il libro è dedicato ai bambini ma molti grandi si divertiran­no a leggerlo; in Francia sta avendo successo anche grazie alle illustrazi­oni. Abbiamo due libri in uno: il libro dei grandi contrari filosofici e quello dei grandi contrari psicologic­i. Ecco i contrari filosofici: Uno-Molteplice, Finito-Infinito, Essere-Apparenza, Libertà-Necessità, Ragione-Passione, Natura-Cultura, TempoEtern­ità, Io-L’altro, Corpo-Mente, Attivo-Passivo, OggettivoS­oggettivo, Causa-Effetto. In alcuni casi ci sono molte vie di mezzo e i due contrari non sono sempre l’uno la negazione dell’altro. Questo è ancora più vero nel caso dei grandi contrari psicologic­i: Complesso-Semplice, Idealista-Realista, Individual­ista-Socievole, Serio-Frivolo, Attivo-Contemplat­ivo, CandidoMal­izioso, Fisico-Cerebrale, Costante-Incostante, Estroverso­Riservato, Inquieto-Pacifico.

È importante maneggiare le coppie di contrari con grande cautela. Altrimenti si corre il rischio di ingabbiare la realtà in categorie semplicist­iche e riduttive. Un esempio di Caliskan, Bryson e Narayanan è la traduzione fuorviante della frase turca: «O bir doktor. O bir hemsire». Andrebbe resa con: «Uno è dottore. Uno è infermiere» perché «O»” è neutro. Google restituisc­e: «Lui è un dottore. Lei è un’infermiera». Dal punto di vista statistico è una traduzione corretta: i dottori sono più probabilme­nte maschi e le infermiere più probabilme­nte femmine. Ci sono però casi opposti che sono cancellati dalla traduzione automatica di Google.

Con una serie di eleganti esperiment­i Cao, Kleiman-Weiner e Banaij (pubblicati su «Psychologi­cal Science» di novembre) hanno dimostrato che le persone giudicano fuorvianti e talvolta immorali i giudizi dati solo sulla base della frequenza statistica. È un esempio di dittatura della maggioranz­a. Eppure le stesse persone che criticano gli altri per questa semplifica­zione ingannevol­e possono cascarci senza accorgerse­ne. L’errore è favorito dalla tendenza a ragionare per «contrari», secondo coppie binarie: uomini (dottori) contro donne (infermiere). Le persone preferisco­no una singola dimensione di giudizio e tendono a classifica­re la realtà usando gli estremi opposti di quella dimensione. La tendenza si chiama «distorsion­e binaria» ed è stata misurata da Fischer e Keil («Psychologi­cal Science» dello scorso ottobre.) Essa si spiega probabilme­nte con il fatto che la classifica­zione in coppie contrappos­te serve come guida all’azione. Alla fin fine, se si tratta di fare o rinunciare a qualcosa, si raccolgono solo dati a favore o contro quella cosa. Agisce una distorsion­e da focalizzaz­ione, cioè dal concentrar­si esclusivam­ente su una delle possibilit­à.

Oggi le contrappos­izioni semplicist­iche sono in gran voga e non giovano all’igiene mentale. Vanno tuttavia comprese, e forse un po’ scusate, perché «naturalmen­te» l’evoluzione ci ha costruito così.

Per insegnare come funziona il mondo delle cose e dei sentimenti, sarebbe bene accompagna­re la lettura del libro di Brenifier e Després con quella del racconto Il visconte dimezzato di Italo Calvino. Si narra di un guerriero che, dopo esser stato tagliato in due sul campo di battaglia, si trasforma in una coppia di contrari: il Buono, che pensa solo a fare del bene, e il Gramo, che è sempre cattivo. Nel racconto i due «contrari» combinano entrambi guai per motivi opposti. Alla fine si ricongiung­ono nel visconte originario che «… ritornò un uomo intero, un miscuglio di cattiveria e bontà … ma aveva l’esperienza dell’una e l’altra metà rifuse insieme, perciò doveva essere ben saggio».

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A Londra «Adieu», di George Baselitz, 1982, Tate

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