Le sante polemiche dei Padri
Nel trattato «Le uniche nozze» di Tertulliano si sostiene che i vedovi non debbano più risposarsi. Mentre nell’invettiva «A Demetriano» di Cipriano si proclama il primato cristiano della sfera morale e religiosa
Anche senza essere specialisti in ambito letterario o accademico, è noto a tutti che il marchio editoriale Loescher è indizio di qualità, soprattutto in ambito critico e didattico. Anzi, il fondatore Ermanno Loescher, nato nei pressi di Lipsia nel 1831 e vissuto e morto nel 1892 a Torino, ha persino una sua voce biografica nel Lessico Universale Treccani. Dopo aver attraversato il Novecento con variazioni, espansioni e vicende varie, ora l’editrice si presenta con una proposta di alto tenore filologico ma anche di grande suggestione. Infatti il Centro Europeo di Studi umanistici «Erasmo da Rotterdam» di Torino ha affidato a Loescher la pubblicazione di una Corona Patrum
Erasmiana, articolata in due filoni, una «Series Patristica» e una «Series Humanistica». Artefice dell’impresa è una personalità della cultura umanistica, il professor Renato Uglione, che ha voluto idealmente connettere questa operazione al 60° anniversario del gemellaggio (probabilmente ignoto a molti torinesi) tra la città della Mole e Rotterdam, la patria del sommo Erasmo.
E, infatti, del grande umanista – che fu interlocutore dialettico di Lutero il quale non esitava a bollarlo come «anguilla» e vir duplex, ma subiva il fascino della sua genialità – vengono pubblicati in due tomi i vi
vaci e creativi Colloqui, simili a un arcobaleno tematico, e il dialogo Il
Ciceroniano il cui sottotitolo è emblematico, De optimo dicendi genere, una discussione sullo stile migliore che si svolge tra una triade di figure dai nomi grecizzanti curiosi e fin stravaganti, Buleforo, Ipologo e Nosopono, ma dai contenuti molto originali. Il tutto sempre con il testo latino a fronte e un ricco corteo di commenti. Nella serie umanistica si affaccia anche Jacopo Sannazaro, il noto poeta napoletano del ’400-’500
col suo De partu Virginis (1526), un poema contemplativo frutto di una gestazione ventennale. Ma la nostra attenzione è rivolta, sia pure in modo essenziale, all’altra serie, quella patristica che si presenta con la riedizione di un dittico testuale di due autori fondamentali delle origini cristiane, entrambi cartaginesi, Tertulliano e Cipriano: quest’ultimo fu vescovo della sua città dal 249 al 258 e morì sotto la persecuzione di Valeriano
(celebri gli Atti del suo martirio per l’impatto documentario, narrativo e testimoniale dell’evento che essi rivelano).
L’opera di Tertulliano è il De monogamia, un tema, quello matrimoniale, caro all’autore che gli dedicò quattro trattati e molti excursus negli altri suoi scritti. A introdurre e commentare questo testo è proprio Uglione che ripropone in modo rinnovato una precedente edizione del 1992. Di fronte al muro puritano eretto dai cosiddetti «encratiti», coloro che esorcizzavano il matrimonio imponendo la continenza come regola obbligatoria del cristiano, Tertulliano reagisce rivendicandone l’origine naturale e divina, anzi, esaltandone l’aspetto donativo e il rimando paolino al modello nuziale
supremo tra Cristo e la Chiesa (Efesi
ni 5,32). Tuttavia la tendenza ascetica progressivamente lo spingerà a un’esaltazione della verginità così marcata da riportarlo vicino a quel muro rigorista, sia pure senza mai scalarlo. Uglione ricostruisce tutte le motivazioni di questa deriva ascetica, riconoscendone anche la dimensione escatologica, quando «nella
vita futura e nella risurrezione dai
morti non si prenderà né moglie né marito perché si sarà uguali agli angeli» (Luca 20,35-36).
Come osserva il commentatore, «Tertulliano si trova costretto a un difficilissimo equilibrio tra la difesa inequivocabile, contro gli encratiti, della legittimità del matrimonio come istituto voluto e benedetto da Dio, e l’irrinunciabile coerenza con le sue convinzioni escatologiche che privano di fatto il matrimonio dello scopo a cui è stato ordinato, la procreazione». Se questo è il quadro generale teologico tertullianeo sul matrimonio, il De monogamia è teso a sostenere una tesi, rigettata dalla grande Chiesa, che condannava le seconde nozze dopo la vedovanza. Si tratta di un’operazione delicata perché egli deve camminare sul filo del rasoio del Nuovo Testamento sottoposto a un’ermeneutica particolare (lo Spirito Santo renderà più compiuto e pieno l’annuncio di Cristo, come si legge in
Giovanni 16,12-13), così da giustificare la sua tesi a favore di una disciplina piuttosto rigorista. Naturalmente più complessa è la sua argomentazione, come si scoprirà leggendo i 17 capitoli dell’opera, guidati anche da questo commento molto accurato ed efficace.
Passiamo, allora, all’altro scritto, quello di Cipriano. Anche in questo caso si tratta di una riedizione del lavoro esegetico-critico condotto nel 1976 da un noto studioso, Ezio Gallicet, rivisitato ora da Maria Veronese, sull’interpellanza polemica rivolta A Demetriano nel 253 dal vescovo di Cartagine. L’opuscolo di poche pagine latine riceve un imponente apparato di note e commenti che permettono di sviscerare l’analisi apologetica comparativa che Cipriano conduce tra i due mondi culturali e spirituali, il cristiano e il pagano, collocati in una dialettica che non ammette esitazioni nella scelta di campo. Si scontrano, infatti, due visioni globali alternative nei cui confronti non si deve esitare: l’opzione è per la concezione cristiana il cui primato morale e religioso è indiscutibile. «Essi, infatti, rendono amore invece di odio. Coi tormenti e le pene che ci sono inflitti noi indichiamo la via della salvezza».
La crisi drammatica in cui versa la storia contemporanea non è, perciò, imputabile a loro bensì alla degenerazione del paganesimo e alla prevaricazione persecutoria contro gli alfieri di un mondo più giusto, vero e nobile, cioè i cristiani. Per certi versi, questa lettera aperta a un esponente avverso anticipa alcune argomentazioni del De civitate Dei di Agostino. Si ha, comunque, un esempio significativo di quell’apologetica che nei primi secoli cristiani fu un genere di battaglia necessario contro l’incombere minaccioso delle persecuzioni imperiali ma anche contro l’ideologia dominante.
E i toni non erano, certo, da rassegnata remissione. Basti solo leggere l’avvio del testo ciprianeo – opera che Gallicet sottopone a un impressionante vaglio critico-letterario e teologico – quando si scaglia contro «i ringhiosi strepiti», la «lingua sacrilega e le parole empie», «la follia da insensato» di Demetriano, confessando il suo desiderio di ignorare un simile interlocutore. Sarebbe stato, infatti, come «fare lume a un cieco, parlare a un sordo, infondere sapienza in un bruto». Ma alla fine «non posso più tacere, affinché il silenzio non sia interpretato come indice di sfiducia in noi stessi, e non diamo l’impressione [...] di ammettere come vera l’accusa».
Con questi due testi, l’editrice Loescher attiva la «Corona Patrum
Erasmiana»