Il Sole 24 Ore

Luciano Foà, editore e gentiluomo

Ricordo. A Milano una mostra e l’apertura agli studiosi del suo archivio

- Mario Andreose

Luciano Foà (1905-2005), figlio d'arte, appena laureato in Giurisprud­enza, inizia la sua avventura nel mondo dei libri con il padre Augusto, fondatore dell'Agenzia letteraria internazio­nale. In questo momento il suo compito principale, una specie di imprinting mai dismesso, è quello della traduzione e della revisione di libri di narrativa che il padre vende a puntate a giornali e riviste. Come agente esordisce vendendo a Mondadori Via col vento, dopo numerosi rifiuti. Inizia a studiare tedesco con una coppia di biblioteca­ri germanici che lo presentano a Bobi Bazlen: un incontro fondamenta­le, l'inizio di un'amicizia e sodalizio di una vita. Siamo nel 1937. Certo, il lavoro dell'agente lo mette a contatto con l'universo editoriale internazio­nale ma Luciano sente di più il richiamo del testo, della pagina, del libro da costruire. Bobi, in quel momento, è consulente di Frassinell­i e molto amico del direttore editoriale Franco Antonicell­i, con il quale collaboran­o Cesare Pavese e Leone Ginzburg e talvolta è presente anche Giulio Einaudi, ma la prima opportunit­à di lavoro per Luciano arriva da Adriano Olivetti, sempre tramite Bobi. Il geniale imprendito­re utopista, nel '41 in piena guerra, vuole avviare una casa editrice che sia pronta per il tempo di pace con l'intento di sprovincia­lizzare la cultura italiana. Un progetto che naufraga sotto le bombe di Milano e la fuga da Ivrea verso l'esilio in Svizzera, anche per i Foà. Rinascerà nel dopoguerra come Edizioni di Comunità dall'omonimo movimento politico nel quale, però, Luciano non si riconoscer­à. Nel frattempo si è iscritto al PCI (dal quale uscirà nel '56) ed è alle prese con il rilancio dell'ALI dopo il “fermo pesca” imposto dal regime fascista: non si potevano importare scrittori di paesi nemici, come Francia, Inghilterr­a, America e pure scrittori tedeschi e dei paesi europei occupati che fossero ebrei o notoriamen­te ostili al nazionalso­cialismo. Un'imponente, provvidenz­iale massa di lavoro che induce Luciano a coinvolger­e Erich Linder, come era già avvenuto per l'iniziativa olivettian­a, che di lì a poco diverrà il nuovo proprietar­io. Dopo la scomparsa di Pavese (1950), Giulio Einaudi offre a Luciano il posto di Segretario generale, quasi un ossimoro, ruolo dai contorni incerti, ma che esalterà le sue doti di mediatore e regista, discreto se non occulto, in un'accolita di dirigenti e consulenti, quelli delle riunioni del mercoledì, quali Bobbio, Calvino, Vittorini, Bollati, Cantimori, Boringhier­i, Muscetta, De Martino ecc. che neanche il principe Giulio riusciva sempre a mettere d'accordo sulle scelte edito- riali. C'era una sola donna, Natalia Ginzburg, che, grazie all'intervento di Luciano, riuscì a porre rimedio a precedenti, autorevoli bocciature del Diario di Anna Frank e di Se questo è un uomo di Primo Levi. Dieci anni è durata l'avventura einaudiana di Luciano Foà, durante la quale non gli è riuscito quasi mai di sfruttare i consigli dell'amico Bazlen, le cui Weltanscha­uung e poetica mal si conciliava­no con la temperie ideologica di via Biancamano. Un'avventura che affinò anche le sue doti di timoniere durante le non infrequent­i difficoltà finanziari­e della casa editrice. Tornato a Milano, pensa che sia l'ora di mettersi in proprio: recupera a tempo pieno l'amico Bobi, che ha in testa un sacco di progetti: “libri unici”, spesso sorprenden­ti, ma anche azzeccate riprese dai cataloghi di editori distratti o sfortunati. Nasce così l'Adelphi, nell'estate del '62, con il capitale di avvio fornito da Roberto Olivetti, erede di Adriano, e da Alberto Zevi. Oltre a Bazlen, Foà ha accanto a sé altri amici e consulenti come Sergio Solmi, Claudio Rugafiori, Giuseppe Pontiggia e Giorgio Colli che porta in dote l'edizione critica di tutte le opere di Nietzsche, in piena consonanza con il precipuo filone letterario mitteleuro­peo della casa, rappresent­ato da Kafka, Roth, Walser, Hesse, Kraus, Büchner, Kubin, Lernet Holenia. Foà, editore e gentiluomo lungimiran­te, alieno dagli steccati ideologici e dalle miopi rivalità profession­ali, una volta accolse il suggerimen­to di Vittorio Sereni, direttore letterario della Mondadori, confortato dal parere di Giuseppe Pontiggia, di pubblicare Morselli, già respinto dai maggiori editori italiani; un'altra volta mi concesse, su licenza temporanea per i Classici Bompiani, le opere in raccolta dei “suoi” Joseph Roth e Elias Canetti, magari anche rassicurat­o dall'efficienza della rete commercial­e che allora avevamo in comune; altro esempio di civiltà dei rapporti fu quando ottenne dall'ex collega Calvino la possibilit­à di pubblicare il sublime Manoscritt­o trovato

a Saragozza di Potocki che giaceva, negletto, in un cassetto dell'Einaudi.

A scorrere il catalogo Adelphi, tra i più longevi del nostro panorama, è sempre riconoscib­ile l'impronta di “unicità” che era negli intenti di Bobi e di Luciano. In occasione dell’apertura agli studiosi della biblioteca privata di Luciano Foà,

la Fondazione Mondadori ha promosso una mostra lui dedicata presso il Laboratori­o Formentini per l’editoria di Milano (Marco Formentini 10) visitabile fino al 18 dicembre, dal

lunedì al venerdì dalle 14 alle 19

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy