Il Sole 24 Ore

Così siamo giunti alla radicalizz­azione della modernità

- Paolo Pombeni

Èun libro densissimo quello in cui Ro san vallonri flette sul suo viaggio,se posso ancora usare questa metafora, nelle vicende intellettu­ali e politiche che si snodano fra il suo esordio di ventenne che sull’onda del ’68 va a lavorare nel sindacato Cfdt e l’ oggi in cui si ritrova, consacrato pro

fessore al College de France, intellettu­a

le di punta che progetta una nuova grande ricerca sulla svolta “populista” del nuovo secolo.

In effetti per certi versi è l’autobiogra­fia culturale di chi si definisce «agitatore di idee e impresario intellettu­ale» (p.242). Per altri è però un gigantesco affresco, assai affascinan­te, dei percorsi che hanno caratteriz­zato un cinquanten­nio che non si chiude nella nostalgia, ma rinvia alla necessità di capire la grande trasformaz­ione in cui ci troviamo immersi.

Il libro è complesso, ricco di rinvii ad incontri, a cenacoli, a polemiche e battaglie intellettu­ali che certo hanno come contesto la Francia, ma che toccano una storia che è anche quella di tutti gli europei che hanno dovuto confrontar­si con questo cinquanten­nio in cui la cultura francese ha avuto un ruolo non marginale.

Uno dei perni mi paresi possa cogliere nella denuncia che fa, abbastanza presto, del fenomeno della democrazia che non può esistere se non accettando il rischio della demagogia: la formula che prende da Guizot è «volutament­e scandalosa .. ma oggi risuona duramente nelle nostre orec chi e»(p.118).Sip arte dal problema per la sua generazion­e di uscire dal« marxistegg­iare»p erri scoprireil liberalism­o, non quello«ri stretto ad ideologia borghese, cioè a giustifica­zione delle cose come stanno» (p. 368), ma neppure il neoliberal­ismo che col nuovo millennio andrà tanto di moda. A questo approdo si è giunti con quelli che definisce i deludenti anni Ottanta, quando tanto si era sperato nella «deuxième gauche», quella di Rocard, che aveva avanzato un acritica alla« tradizione statalista-giaco bina-centralizz­atrice- nazionalis­ta-protezioni sta»(p .176).

Non si è concluso molto con quella stagione, perché alla fine ha prodotto una« radicalità diti po nuovo », conl’ appendice di un« radicalism­o della cattedra», tutto centrato su sé stesso per produrre ciò che chiama« una melanconia di sinistra» (p. 222). Né è servito a molto promuovere ciò che presumeva essere una« sinistra di resistenza» contro il neoliberal­ismo, quella che ha chiamato molti intellettu­ali a riunirsi prima a Berlino, poi a Firenze, con Blair, Schröder, Jospin e altri leader di quel tipo, molto relativame­nte interessat­i a quel che pensavano degli intellettu­ali ridotti a «un gruppo di saggi un po’ stanchi».

È così che si è arrivati a una «radicalizz­azione della modernità» (p. 357) che ha finito per dare spazio alla sfida della nuova destra, quella dei Finkielkra­ut e dei Gauchet, e c’è da chiedersi se non siano piuttosto nuovi reazionari, con la loro tendenza alla «vituperazi­one permanente» e la loro pretesa di essere gli eredi di una sinistra che ha perso la sua credibilit­à (p. 327).

In intensi capitoli finali Rosanvallo­n si misura con la novità di un’epoca che ha cambiato i parametri della democrazia moderna: al centro non piùl’ individuo della similitudi­ne e dell’ universali­tà, quello forgiato dal suo contesto, ma l’individuo di singolarit­à, quello che è determinat­o dalla sua storia personale, diversa per ciascuno. Mancano così i presuppost­i per costruire le solidariet­à e senza di esse la democrazia non vive: le elezioni sono ridotte «a un semplice processo di nomina» oppure all’esercizio della «democrazia del rifiuto», la rappresent­anza diventa difficile da esercitare quando non si possono più amalgamare categorie di persone intorno a progetti, masi devono tenere insieme un numero enorme di individual­ità sparse. Ed è stato tutto questo a portare all’espandersi dei populismi, che non saranno fenomeni effimeri perché sono «da considerar­e come un proposito di risposta forte al disincanto democratic­o contempora­neo e all’ingresso in una nuova era della di segua glianza»(p .412).

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy