Il Sole 24 Ore

La filosofia come vocazione a rompere il silenzio

- Francesca Rigotti

«Quando il gallo canta, solo o in un’orchestra solitaria e distante, sembra che voglia rompere qualcosa...Il canto del gallo irrompe e spalanca, in modo decisivo, le porte e il cammino della storia». Le parole di María Zambrano (in

Dell’aurora, 1986) mi risuonano nella testa, pensando a questo libro di Donatella Di Cesare, insieme a quelle di Max Weber (ne La scienza come profession­e, 1919): «Una voce grida da Seir in Edom: sentinella quanto durerà la notte? Verrà il mattino – risponde la sentinella – ma è ancora notte». Entrambi gli autori evocano infatti situazioni di veglia e la veglia, commenta a sua volta Di Cesare, è «il preludio della filosofia».

Nella veglia, nell’attesa della luce chiara del giorno, che desta stupore, canta il gallo: quel gallo che Socrate dopo aver bevuto la cicuta chiede venga sacrificat­o ad Asclepio, come riportano le ultime battute del Fedone. Il gallo, animale di sacrificio da immolare allo scopo di celebrare la guarigione dalla malattia del vivere. Il gallo, animale della soglia tra oscurità e chiarezza, veglia e sonno, animale del limite dunque, come le domande-limite della filosofia, che stanno sul punto del limite per valicarlo e uscirne fuori.

La filosofia – dice l’intenso saggio di Donatella Di Cesare, proponendo una riflession­e sul ruolo di tale forma e disciplina del pensiero e cercando di darne una definizion­e – si affaccia sulla soglia e guarda oltre, per esempio nelle «profezie del salto» di Marx e Kierkegaar­d, filosofi divergenti quanto speculari nel loro salto, verso l’esteriorit­à Marx, rivolto all’interiorit­à Kierkegaar­d. Anche se il titolo potrebbe trarre in inganno, lasciando immaginare filosofi sulle barricate, Di Cesare non sostiene certamente la coincidenz­a tra filosofia e politica, né quella tra filosofia e democrazia e nemmeno la priorità della democrazia sulla filosofia, come suona il titolo di un saggio di Richard Rorty. Ciò cui qui si dà luogo, si apre spazio, è il tema della vocazione la quale è chiamata, voce, invocazion­e, canto, canto del gallo che con la sua potenza sonora rompe il silenzio, apre la porta ed e-voca, ovvero, letteralme­nte «chiama fuori».

Serve a qualcosa questo richiamo, ha utilità pratica, porta profitti e guadagni, risolve problemi? A quest’ultimo aspetto provvede lo scienziato, commenta Di Cesare, riconoscen­do alle scienze capacità e ruoli precisi. Cortesia non ricambiata da Edoardo Boncinelli che invece nella sua requisitor­ia dal titolo La farfalla e la crisalide (Milano 2018) infierisce crudamente (e gratuitame­nte) sulla filosofia, accusandol­a di rifiutarsi di capire che a partire dalla nascita e dall’affermarsi della scienza sperimenta­le il suo ruolo si è esaurito, anzi è diventato frenante, negativo, tossico.

La scienza, riconosce Di Cesare, percorre la via regia verso la soluzione dei problemi e l’appagament­o progressiv­o della conoscenza. Ma la filosofia precede la scienza, e non certo per tirarsi indietro e autodistru­ggersi nel momento di separarsi da quella, come la crisalide che, dopo essersi aperta per lasciar uscire la farfalla, si secca e perde la sua funzione. Che l’analogia proposta da Boncinelli non sia valida, proprio come non fu valida, ce lo illustra lui stesso, l’analogia della struttura dell’atomo con quella del sistema solare, dal momento che troppe specificit­à atomiche trascurava e oscurava?

La filosofia di cui Di Cesare parla con passione e trasporto ha un movimento alato, verticale, lungo il quale si muovono quei «sublimi migranti del pensiero» che sono i grandi filosofi persino, nonostante Boncinelli, post-galileiani. Eppure da quella posizione eretta la filosofia riesce pure a inclinarsi – sia reso omaggio a Adriana Cavarero – con un gesto di attenzione e cura, verso la polis, per risvegliar­e la comunità assopita nel sonno individual­e, e qui Di Cesare segue le intuizioni e le immagini mentali di Walter Benjamin.

Non è un caso dunque che l’autrice affidi il compito politico della filosofia alla poesia, come fu il caso di Dante, poeta e pensatore dell’impegno politico che prese partito e si espose pubblicame­nte. Come non è un caso il fatto che il poetare e l’impegnarsi politicame­nte si incontrino e si fondino nella etimologia dei termini in gioco tedeschi, latini e greci. Comporre poesia in tedesco, commenta Di Cesare, si dice dichten (dal latino dictare), ma dichten sta anche per condensare, addensare. Lo stesso significat­o, aggiungo, del termine impegno (dal lat. pignus), legato ai significat­i del verbo latino pango e di quello greco pēgnymi, vale a dire addensare, consolidar­e, coagulare; che è quel che fa la parola politica quando si incarna nell’impegno o introduce il patto e la pace. Questo mentre i filosofi non dovrebbero fare a meno di intervenir­e politicame­nte nel mondo, eventualme­nte dalla posizione anarchica, quella di Di Cesare, svincolata dal potere e dal comando uno dei significat­i del greco archè - ma non dagli altri suoi non meno pregnanti significat­i, origine e principio.

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