Wall Street cade in chiusura, scatta la corsa ai T-bond
Peggior seduta da un mese e mezzo per Wall Street con i tre indici principali (Dow Jones, S&P500 e Nasdaq) arrivati a cedere ben oltre il 3 per cento. A pesare è stato soprattutto il crescente scetticismo degli investitori sulla reale possibilità di un accordo Usa-Cina per evitare una guerra commerciale a colpi di dazi. Acquisti invece su Treasury (i titoli di Stato americani), oro e dollaro.
Qualche presa di beneficio dopo la rincorsa propiziata dai toni distensivi che accompagnavano gli sviluppi della guerra dei dazi fra Cina e Stati Uniti la si era messa in conto. Pochi però pensavano a una disfatta di simili proporzioni per Wall Street, che ieri ha registrato la peggior seduta delle ultime sei settimane con listini che nel pomeriggio erano arrivati a cedere oltre il tre per cento. E neppure una rincorsa ai Treasury, i titoli di Stato americani, che unita alla caccia a yen, oro e in parte anche dollaro testimonia l’improvvisa avversione al rischio che ha attanagliato gli investitori.
Come spesso accade in queste situazioni non è unica la ragione che spinge a movimenti di violenza così marcata. C’è in primo luogo da tenere conto di una certa delusione da parte degli investitori per gli sviluppi di una «pax» fra Trump e Xi che, nonostante le prove di intesa dello scorso finesettimana a Buenos Aires, resta in fin dei conti tutta da costruire. Ed è anche lo stesso andamento dei bond a creare apprensione sui mercati: quell’inversione della curva dei rendimenti Usa (i tassi delle scadenze a 2 e 3 anni hanno superato quelli a 5 anni per la prima volta dal 2007) che in genere è indice di una futura recessione .
E se il primo fattore ha colpito le azioni delle società legate al commercio mondiale come Boeing o Caterpillar, l’appiattimento progressivo della curva dei rendimenti non ha lasciato indenni i titoli del settore bancario. A complicare ulteriormente lo scenario hanno poi contribuito notizie non proprio favorevoli sul fronte Brexit, con l’escalation della battaglia all’interno del parlamento britannico che riporta alla luce il rischio di un’uscita «hard» dall’Unione europea.
Ad ampliare i movimenti fino a innescare una vera e propria fuga dalla Borsa Usa nel primo pomeriggio è stato però il raggiungimento di soglie tecniche rilevanti (l’indice S&P 500 è scivolato al di sotto della media mobile delle ultime 200 sedute), circostanza che ha fatto scattare vendite automatiche da parte di molti fondi. Quelli in particolare che seguono strategie tese a minimizzare la volatilità (i cosiddetti risk parity) avrebbero, secondo gli operatori, liquidato rapidamente le azioni per rifugiarsi nel medesimo tempo sulle obbligazioni proprio nel momento in cui il Vix, il popolare «indice della paura», balzava del 25% a oltre 20 punti.
La giornata di chiusura prevista oggi per commemorare l’ex Presidente George H.W. Bush ha forse contribuito a esasperare certi movimenti, ma potrebbe a questo punto giungere al momento opportuno per raffreddare gli animi. Cancellata anche l’audizione al Congresso del presidente Fed, Jerome Powell, l’attenzione si sposterà ai dati sul mercato del lavoro Usa di venerdì e forse anche sulle implicazioni legate alla forma della curva dei tassi Usa. A chi ricorda come questa sia stata profezia di «sciagure» alla fine degli anni 80, nel 2000 e nel 2006-07, c’è anche chi ribatte che negli ultimi 40 anni l’inversione dei rendimenti ha in realtà preceduto le recessione (e la caduta di Wall Street) in media di un anno e mezzo. La preoccupazione è lecita e comprensibile, le ondate di panico un po’ meno.