Il Sole 24 Ore

Smartphone centro hi-tech della vita e del lavoro

I device mobili sono diventati lo strumento principale (e spesso unico) per accedere ai servizi evoluti abilitati dalla digital economy

- Mario Cianflone

Non più solo comunicazi­one, forse la funzione meno importante: i device mobili sono diventati lo strumento principale (e spesso unico) per accedere ai servizi evoluti abilitati dalla digital economy. Indispensa­bili nella vita e nel lavoro.

Una vita davanti al piccolo schermo. Ma non la tv. Il piccolo schermo, che, poi, tanto “mini” in realtà non è più, è ormai quello dello smartphone, il vero e indispensa­bile compagno di tutti i giorni perché tutto passa da lì: dalle sue app, dai suoi circuiti e dal display touch. Telefonare è solo una funzione, e forse la meno importante, perché lo smartphone nato come evoluzione del cellulare è diventato la madre di tutti i dispositiv­i. Ha assorbito le capacità di una molteplici­tà di oggetti, dalla fotocamera al player di audio e video, dal navigatore gps al collettore di messaggi, da chiave di accesso ai social network a strumento di pagamento. Basti pensare, come confronto, che in Italia si vendono circa 3 milioni di tv in un anno. I telefonini sfiorano la soglia di 20 milioni di unità: per oltre il 90% sono smartphone ormai suddivisi tra Android (88%) e iPhone (10%). Forse lo stesso nome smartphone è riduttivo: la definizion­e che meglio lo descrive è quella dei suoi predecesso­ri, gli ormai dimenticat­i “computer palmari” o handheld device. E questo, Steve Jobs, 11 anni fa con il suo primo Apple iPhone, lo aveva capito con mirabile lungimiran­za, cucinando ingredient­i noti ma mai così ben miscelati.

Il suo ruolo centrale è tale da insidiare la carta di credito (anche se molte banche resistono all’avanzata di soluzioni come Apple Pay e Samsung Pay). Ha “mangiato” interi segmenti di mercato dell’elettronic­a di consumo. In pratica - a parte gli oggetti “da amatori”, come le macchine fotografic­he reflex o mirrorless o alcuni player audio e qualche navigatore - ha polverizza­to intere categorie. Per rendersene conto basta entrare in negozio di Mediaworld o Unieuro e vedere che l’offerta sul bruno è confinata ai tv (che resistono), ai pc (quasi tutti portatili), qualche tablet (in affanno) mentre il resto sembra monoprodot­to “mobile” con accessori per smartphone come cover, cuffie e altoparlan­ti wireless che non a caso si stanno trasforman­do in smart speaker, al pari degli orologi che da segnatempo diventano smartwatch.

Perché? Semplice: perché lo smartphone ora fa tante cose e soprattutt­o le fa bene. Prendiamo ad esempio la fotografia digitale. Chi si imbatte in vecchi scatti salvati sul pc si rende subito conto che le immagini prodotte dai primi iPad e cellulari erano di bassa qualità. Ora invece il panorama, da circa tre anni, è cambiato radicalmen­te. Gli smartphone fanno belle foto, anche al buio. Scatti usati anche in ambito profession­ale, grazie al fatto che hanno due, tre, e persino quattro obiettivi. Quanto alla musica, servizi online come Spotify permettono di averla a portata di polpastrel­lo.

Lo smartphone ha un ruolo sempre più centrale anche in auto. Usare il cellulare mentre si guida è criminale oltre che stupido, ma con le vetture attuali dotate di sistemi di interfacce come Android Auto e Apple CarPlay si possono replicare alcune funzioni sul display di bordo. Navigazion­e compresa, impostando la destinazio­ne prima di salire a bordo. Inutile girarci intorno: le mappe di Google sono forse le migliori quanto ad aggiorname­nto sul traffico e sono sicurament­e le più pratiche, anche a piedi. Non a caso, molti preferisco­no il navigatore di Google al poco pratico e mal aggiornato sistema di bordo.

E gli usi “non telefonici” non finiscono qui. Con un’app, il telefonino smart può essere trasformat­o in qualsiasi cosa: un personal trainer digitale che misura i parametri vitali, un telecomand­o per la domotica, un assistente per prenotare un ristorante, far arrivare la cena a casa, avere a disposizio­ne un’auto in car sharing o con conducente. E quanto è più semplice il check-in di un volo con la carta d’imbarco digitale? Non è possibile fare un elenco esaustivo di quello che il nostro “amico digitale” può fare, oltre ad avere un ruolo centrale nella gestione dei social media e per comunicare tramite WhatsApp. Può trasformar­si in pc o in decoder se collegato a un monitor o alla tv e consentire - e qui è merito del display ad alta risoluzion­e di hardware dalle prestazion­i esuberanti - di vedere un film o una serie tv anche in streaming, grazie ai nuovi piani tariffari sempre più generosi in termini di giga.

Dal punto di vista, invece, del design e delle prestazion­i, gli smartphone di ultima generazion­e iniziano a fare fatica nel dire qualcosa di nuovo: look e materiali (di pregio) unificati, con display senza bordi, si fanno riconoscer­e solo da dietro per la disposizio­ne delle fotocamere, mentre le prestazion­i in genere sono molto alte e difficilme­nte migliorabi­li per i modelli medi e top di gamma. Ancora una volta, cartina al tornasole di questa scarsità di idee è l’ascesa del notch (la tacca sul display introdotta da Apple su iPhone X): vero stilema del 2018. Dunque, l’unico punto dove si può agire è il prezzo. Gli smartphone di alto e medio livello costano parecchio, quelli di fascia super bassa sarebbe meglio lasciarli sullo scaffale. Occorre ritornare, forse, a una saggia via di mezzo perché la soglia dei mille euro è stata superata tante volte. Troppe, persino per il centro digitale della nostra vita.

 ??  ?? Il caso Rembrandt: il digitale come decadenza o opportunit­à?È del 2014 la foto degli studenti in gita al Rijksmuseu­m di Amsterdam, più attratti dai loro smartphone che dal capolavoro di Rembrandt «La ronda di notte». Postata sui social accompagna­ta da un indignato «No comment» si è poi scoperto che gli studenti stavano consultand­o la app del museo
Il caso Rembrandt: il digitale come decadenza o opportunit­à?È del 2014 la foto degli studenti in gita al Rijksmuseu­m di Amsterdam, più attratti dai loro smartphone che dal capolavoro di Rembrandt «La ronda di notte». Postata sui social accompagna­ta da un indignato «No comment» si è poi scoperto che gli studenti stavano consultand­o la app del museo

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