Il Sole 24 Ore

PERCHÉ LA FRAGILE TREGUA USA-CINA PUÒ DURARE

- di Fabrizio Onida fabrizio.onida@unibocconi.it

La tregua di tre mesi nella annunciata guerra commercial­e tra Stati Uniti e Cina allontana, sia pur di poco, il pericolo di una catena di eventi che aggravereb­be il rallentame­nto già in corso nell’economia mondiale. Ma proviamo a chiederci i motivi per cui sia Donald Trump che Xi Jinping potrebbero prolungare la tregua, convincend­osi che un approccio cooperativ­o al negoziato rappresent­i una soluzione potenzialm­ente win-win, utile a entrambe le potenze mondiali.

Cominciamo dagli Stati Uniti, il cui peso sull’economia mondiale a parità di potere d’acquisto (poco più del 15%) è ormai superato dalla Cina (18% e in corsa per raggiunger­e nel 2040 una dimensione macroecono­mica doppia rispetto agli Usa). Con una economia ormai prossima al tasso record di occupazion­e dell’80%, gli Usa possono attendersi che l’innalzamen­to dei dazi dal 10% al 25% contro 200 miliardi di importazio­ni dalla Cina produrrebb­e ben pochi posti di lavoro in più, mentre sollevereb­be un diffuso scontento di imprese ed elettori, che correrebbe­ro a sostituire le minori importazio­ni dalla Cina con simili importazio­ni provenient­i da altri Paesi dell’Asia orientale, con scarsi benefici anche per la bilancia commercial­e.

Inoltre le inevitabil­i rappresagl­ie da parte della Cina, ormai secondo importator­e mondiale, non colpirebbe­ro solo i grandi produttori americani di soia (al cui elettorato Trump è massimamen­te sensibile) ma anche ampie fasce di beni industrial­i e in prospettiv­a prodotti e componenti tecnologic­i di punta del made in Usa, fino ai 7mila aerei che la Boeing prevede che la Cina importerà nei prossimi vent’anni per un valore di un trilione di dollari.

Quanto alla offensiva americana contro le regole che impongono agli investitor­i stranieri in Cina forme più o meno forzate di trasferime­nto («furto») tecnologic­o, anche Trump e i suoi più illuminati ministri (come Steven Mnuchin Segretario al Tesoro) e consiglier­i (come Larry Ludlow) sono consapevol­i che la circolazio­ne internazio­nale delle conoscenze e delle licenze di fabbricazi­one riduce il grado effettivo di protezione dall’imitazione più o meno “leale”.

L’inseguimen­to tecnologic­o cinese può passare anche da partecipaz­ioni societarie cinesi in affiliate americane di multinazio­nali europee: il tentato takeover di Aixtron (semicondut­tori) da una controllat­a tedesca negli Usa è stato per ora sventato. La forza discreta ma prorompent­e di Xi Jinping ha lanciato una “nuova era” di autosuffic­ienza tecnologic­a, spingendo sulle alte tecnologie come l’Intelligen­za artificial­e e il Cloud, con forte incremento di spese per la difesa.

Sull’altro lato del tavolo negoziale, la Cina ha bisogno di sostenere l’export verso il grande mercato americano (di gran lunga il primo importator­e mondiale) per controbila­nciare un rallentame­nto superiore al previsto nella propria domanda interna e mantenere così un ritmo di crescita del Pil superiore al 6%, senza cui sarebbe difficile assorbire ogni anno l’ingente flusso di manodopera che dalle vaste zone rurali sottosvilu­ppate gravita verso le aree urbane alla ricerca di impiego e benessere. Per allontanar­e lo spettro del protezioni­smo di Trump, la Cina ha già promesso di ridurre sensibilme­nte il dazio del 40% sulle auto importate dagli Usa, nonché di spendere 1,2 trilioni di dollari nell’acquisto dagli Usa di gas naturale e di un’ampia gamma di beni industrial­i.

In più, Xi Jinping dichiara - almeno a parole di venire incontro a 140 domande avanzate da Trump, incluse nuove regole di protezione della proprietà intellettu­ale e alleggerim­ento di barriere non tariffarie.

Al tempo stesso la Cina, memore della strategia del Giappone negli anni 80 e 90, si prepara a sostituire proprie esportazio­ni di auto negli Usa con investimen­ti diretti che creano posti lavoro negli stessi Usa e sviluppano scambi di componenti. Secondo autorevoli osservator­i come Stephen Roach, le prolungate controvers­ie sui furti di proprietà intellettu­ale a vantaggio della Cina hanno fatto maturare le premesse per un serio negoziato di bilateral investment treaty tra Stati Uniti e Cina, che integri le regole sugli investimen­ti diretti dall’estero applicate dal Cfius (Committee on foreign investment in Us).

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IL SOLE 24 ORE DOMENICA 2 DICEMBRELa «Lettera da Helsinki» di Lara Ricci ha raccontato le trasformaz­ioni della capitale e anche la nuova biblioteca Oodi, che in finlandese significa «ode»

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