La Corte Ue: Londra può revocare Brexit
Per l’avvocato generale dietrofront possibile anche senza via libera dei partner Il parere spiana la strada a un secondo referendum che però il governo esclude
Due sconfitte in un giorno per Theresa May: un verdetto a Lussemburgo e un voto in Parlamento a Londra ieri sono andati contro il suo Governo, mentre è iniziato il conto alla rovescia in vista del cruciale voto in Parlamento, previsto l’11 dicembre, sull’accordo su Brexit proposto dalla premier britannica.
La Gran Bretagna può revocare Brexit unilateralmente, ha stabilito l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Manuel Campos Sanchez-Bordona ha dichiarato ieri che il Paese che ha invocato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, facendo scattare il meccanismo di uscita dalla Ue, ha la facoltà di revocarlo quando vuole senza dover attendere il parere favorevole della Commissione o degli altri Stati membri. Londra ha quindi tempo di bloccare Brexit fino a quando l’accordo di divorzio dall’Unione europea verrà formalmente siglato, a patto che notifichi formalmente la sua decisione al Consiglio Europeo. Il parere ufficiale dell’avvocato generale non è vincolante, ma i giudici della Corte con ogni probabilità seguiranno le sue indicazioni come hanno sempre fatto. La sentenza della Corte è attesa a breve, ma probabilmente non prima del voto in Parlamento martedì prossimo.
Il caso era stato avviato nel dicembre scorso da un gruppo di politici scozzesi anti-Brexit che volevano sapere se sarebbe stato possibile bloccare l’uscita dalla Ue. Il Governo britannico si era opposto, rivolgendosi anche alla Corte Suprema perché non voleva che la Corte Europea prendesse in considerazione il caso. Secondo Londra si tratta infatti di una questione «puramente ipotetica», dato che il Governo non ha alcuna intenzione di fare marcia indietro su Brexit e revocare l’articolo 50. Nel suo parere scritto ieri il giudice ha respinto in toto le obiezioni del Governo, affermando che non si tratta di una questione accademica ma di una possibile «manifestazione della sovranità dello Stato uscente, che decide di ribaltare la sua decisione iniziale».
Il parere spiana ora la strada a un secondo referendum, ha dichiarato ieri Alyn Smith, uno dei deputati dello Scottish National Party che hanno portato il caso alla Corte di Giustizia europea, perché dimostra che la scelta non è solo tra l’accordo negoziato da Theresa May oppure un “no deal”, una disastrosa uscita senza intesa. «Ci sono altre opzioni e possiamo fermare l’orologio», ha detto, e i deputati devono poter esaminare tutte le opzioni possibili prima di votare.
Questa è un’opinione sempre più diffusa tra deputati di tutti i partiti, ha detto ieri Jo Johnson, deputato conservatore che ha dato le dimissioni dal Governo per protesta contro l’accordo proposto dalla May. «Non dobbiamo accettare una scelta binaria, ci sono alternative - ha detto in un intervento al summit del Milken Institute a Londra -. Le possibilità di un secondo referendum sono ora più elevate di qualsiasi altra opzione sul tavolo».
Anche Peter Mandelson, laburista, ex braccio destro di Tony Blair ed ex commissario Ue, ha dichiarato al summit del Milken Institute che «non dovremmo avere paura di un secondo referendum, che non sarebbe una ripetizione del voto del 2016 ma una scelta nuova e con maggiori informazioni a disposizione». Secondo un nuovo sondaggio, il 62% degli elettori è favorevole a un secondo voto.
L’unico modo per revocare l’articolo 50 è tramite un secondo referendum, se la maggioranza dei voti sarà a favore di restare nella Ue. Per poterlo organizzare sarebbe necessario chiedere alla Ue di concedere più tempo allungando i tempi di uscita oltre la data prevista del 29 marzo 2019. Prima però il Parlamento deve esprimere il suo parere sull’intesa proposta dalla premier e, date le critiche che ha suscitato tra deputati di tutti i partiti, la previsione è che non sarà ratificata.
Il Parlamento ieri sera ha costretto intanto il Governo a fare un’umiliante marcia indietro: 311 deputati contro 293 hanno votato a favore di una mozione che impone la pubblicazione della documentazione sulla legalità dell’accordo su Brexit prima del voto di martedì prossimo. Il Governo si era rifiutato di rendere note le opinioni degli esperti legali sul testo, dichiarando che non era nell’interesse pubblico, ma i deputati hanno minacciato di avviare una procedura per vilipendio del Parlamento sostenendo che sarebbe «inimmaginabile» non dare tutte le informazioni possibili ai rappresentanti eletti prima del cruciale voto dell’11 dicembre. Il Governo ha dovuto accettare di pubblicare tutte le carte oggi.