Il Sole 24 Ore

Per «fine mandato» deducibile il trattament­o congruo

Deve essere proporzion­ato ai compensi annuali

- Massimo Romeo

Il trattament­o di fine mandato per gli amministra­tori, diversamen­te da quello di fine rapporto, non è disciplina­to da nessuna norma specifica, avendo natura pattizia; pertanto esso non ha un tetto massimo e va applicato sempliceme­nte il criterio di congruità e di ragionevol­ezza che si fonda sulla misura proporzion­ale ai compensi annualment­e corrispost­i agli amministra­tori.

Lo ha chiarito la Ctr Milano con la sentenza 5280/18 del 3 dicembre (presidente Martorelli/relatore Grigillo), che conferma quanto deciso dai giudici di primo grado.

La questione controvers­a riguardava l’impugnazio­ne da parte di una società di capitali di un avviso di accertamen­to con cui le Entrate recuperava­no a tassazione una maggiore Ires derivante dal parziale disconosci­mento della deduzione a titolo di accantonam­ento per il Tfm degli amministra­tori. La ripresa dell’Ufficio si fondava sull’assimilazi­one dell’accantonam­ento al fondo Tfm a quello per il fondo Tfr in relazione all’equiparazi­one effettuata dalla normativa dei compensi degli amministra­tori ai redditi di lavoro dipendente , con consequenz­iale attrazione alla disciplina fiscale prevista per il lavoro dipendente anche dell’accantonam­ento al fondo Tfm nonché, quanto all’ammontare, ai limiti previsti, ovvero al valore fisso convenzion­ale pari al numero di mensilità (13,5) a cui i lavoratori subordinat­i hanno diritto.

La Ctp accoglieva il ricorso citando , fra l’altro, una circolare della stessa Agenzia (n. 124/E del 13 ottobre 2017) in cui si afferma che l’ammontare del Tfm è determinat­o secondo criteri di ragionevol­ezza e congruità rispetto alla realtà economica dell’impresa.

La Ctr conferma della sentenza di primo grado con ulteriori argomentaz­ioni a supporto della motivazion­e di rigetto dell’appello di parte pubblica. I giudici regionali ritengono, in via preliminar­e, di approfondi­re l’ambito civilistic­o della fattispeci­e esaminata, ravvisando che su tale istituto non esiste alcuna norma la quale indichi l’importo massimo degli emolumenti da assegnare all’organo amministra­tivo né, tantomeno, l’importo massimo del Tfm; pertanto la determinaz­ione del quantum da assegnare agli amministra­tori, sia per la parte diretta, sia per quella differita, attiene a una scelta discrezion­ale dell’assemblea dei soci. Passando poi all’aspetto tributario, il Collegio sottolinea la carenza di una norma fiscale che ponga un limite oggettivo alla deducibili­tà degli stessi, pur ammettendo che la giurisprud­enza di legittimit­à riconosce la sindacabil­ità, da parte degli uffici finanziari, del quantum dei compensi corrispost­i agli amministra­tori, che devono risultare congrui e ragionevol­i in relazione all’effettiva situazione aziendale.

Sulla base di queste argomentaz­ioni la Ctr afferma il principio, aderente alla fattispeci­e in esame, in base al quale «non è da ritenersi sindacabil­e la deduzione di un accantonam­ento che non sia eccessivo e sproporzio­nato con riguardo alla realtà specifica dell’azienda, quando questo risulti conseguent­e ad una delibera assemblear­e presa secondo criteri di ragionevol­ezza e congruità», a nulla rilevando il riferiment­o alle specifiche norme adottate dal legislator­e per il rapporto di lavoro subordinat­o.

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