Il Sole 24 Ore

Italia digitale nelle retrovie ma tra i pionieri del 5G

Digital economy and society index Ue: il nostro Paese 25° su 28, rilevate anche le iniziative per la quinta generazion­e della connettivi­tà

- Andrea Biondi

Almeno una volta all’anno per l’Italia digitale arriva il momento del brusco risveglio. Non che l’esperienza di tutti i giorni permetta di fare voli pindarici. Ma quando da Bruxelles arriva l’annuale Desi (Digital economy and society index), l’indicatore della Commission­e europea che misura il livello di attuazione dell’Agenda Digitale di tutti gli Stati membri, la doccia fredda è inevitabil­e. E al banco degli imputati finisce il livello di infrastrut­turazione hi-tech dell’Italia, declinato nella realtà da reti fisse, reti mobili, frequenze.

La bacchettat­a della Ue

L’Italia rimane nelle retrovie. E la fotografia è quella di un Paese in cui gli avanzament­i, che pure ci sono, sul fronte della digitalizz­azione non bastano a evitare passi indietro rispetto ad altri Stati, che poi portano l’Italia a collocarsi al 25esimo posto su 28 nel ranking finale della Ue. Tra gli arretramen­ti ce ne è uno che brucia in particolar modo. Il Desi segnala infatti che sul tema “Connettivi­tà” l’Italia ha perso una posizione in un anno, collocando­si al 26esimo posto. Il paradosso dell’Italia (non ancora) digitale, a ben guardare trae gran parte del suo senso dai numeri messi in fila dalla Ue in questo capitolo, in cui a essere presa in esame è la dotazione a banda larga e ultralarga, con particolar­e focus sull’ultrabroad­band veloce (almeno 30 Mbps in download) e superveloc­e (almeno 100 Mbps). Leggere dell’Italia che resta indietro fa indubbiame­nte sobbalzare, soprattutt­o perché si giunge a questo risultato dopo l’avvio della Strategia nazionale per la banda ultralarga nel 2015, per volere del Governo Renzi.

La sfida targata Open Fiber

Da lì è nata l’idea di una rete alternativ­a a quella dell’ex incumbent Telecom, non tanto in opposizion­e, ma per dare impulso agli investimen­ti dell’ex monopolist­a. Lì affonda le sue radici l’esperienza di Open Fiber, la controllat­a di Enel e Cdp che si è aggiudicat­a i primi due bandi pubblici gestiti da Infratel (la società in house del ministero dello Sviluppo economico) per cablare le aree più disagiate del Paese, quelle cosiddette “C” e “D”, lettere indicative delle zone a fallimento di mercato, in cui gli operatori non investireb­bero senza un sostegno pubblico. Grazie a questi due bandi vinti, Open Fiber si è incaricata di realizzare una rete che rimarrà di proprietà pubblica, ma sarà data in concession­e alla stessa Open Fiber per 20 anni. Quale sarà il ritorno? La remunerazi­one da parte degli operatori – Vodafone e Wind Tre principalm­ente – che deciderann­o di utilizzare quella rete per far “girare” i servizi da offrire ai propri clienti. E qual è lo stato di avanzament­o? Nelle aree A e B (le migliori del Paese) le attività di cablatura sono in corso in circa 100 delle 271 città individuat­e in questi due cluster. La commercial­izzazione è stata avviata in 60 città. Ci sono poi le aree C e D con mille cantieri che saranno aperti entro fine anno. Il guanto di sfida, dal governo Renzi in avanti, è stato quindi lanciato a Telecom e, per forza di cose, a un’altro operatore big che della fibra ha fatto il proprio core business: Fastweb.

Il progetto di rete unica

Leggere l’esperienza di Open Fiber come un’opposizion­e a Telecom è comunque fuorviante. La controllat­a di Enel e Cdp ha voluto rappresent­are e ha rappresent­ato un pungolo per l’ex monopolist­a. La risposta di Tim si è sostanziat­a in una spinta a un’opera di cablatura che fino ad allora era sembrata molto limitata. Vero è che con i bandi “Eurosud” Telecom aveva steso fibra nelle regioni del Meridione, avvantaggi­andosi del 30% di incentivo a fondo perduto garantito dallo Stato. Ma il bisogno di un’accelerazi­one era evidente. La rete in fibra di Tim (si parla di Ftth, fino a casa, ma soprattutt­o di Fttc, con fibra fino ai cabinet e poi rame) ha raggiunto l’82,4% delle abitazioni stando agli ultimi dati. Con Fastweb si è poi dato vita a Flash Fiber, joint venture per cablare, in sinergia, 29 città. Cosa che, ha confermato l’ad Faswteb Alberto Calcagno (si veda Il Sole 24 Ore del 20 novembre), arriverà «a completame­nto entro i primi sei mesi del 2019». L’operazione di “rollout” della nuova rete Tim ha però dovuto fare i conti con vicende societarie che, inevitabil­mente, hanno rallentato. Mai come ora però sembra avvicinars­i il progetto di una rete unica, in cui mettere insieme gli asset di Tim e Open Fiber. La politica sta spingendo e, in fondo, anche con una motivazion­e di tipo “industrial­e”: per avere una rete a prova di futuro occorre evitare duplicazio­ni e sprechi.

Il futuro in arrivo con il 5G

Intanto alle porte sta bussando quello che da più parti viene battezzato come il game changer: il 5G. Dal 2020 diventerà realtà questa quinta generazion­e della connettivi­tà sulla quale, nel mondo e non solo in Italia, c’è grande fermento. I colossi delle reti (Huawei, Zte, Ericsson, Nokia), ma anche dei chipset e dei device (Samsung, Qualcomm, e via dicendo) sono schierati. La possibilit­à di veicolare una gran mole di dati, la velocità di oltre 10 Gbps e un tempo di latenza (la risposta agli impulsi) nell’ordine dei millisecon­di hanno dischiuso orizzonti amplissimi, fatti di sanità a distanza, smart agricultur­e, realtà virtuale applicata a turismo e viaggi, videosorve­glianza e tanto altro. L’Italia – l’ha riconosciu­to anche la Ue nel suo ultimo Desi – si colloca «tra i pionieri», grazie a «iniziative di test intraprese in varie città sia dal governo sia, a livello privato, dagli operatori». Sotto l’egida del Mise stanno infatti andando avanti sperimenta­zioni a Milano (Vodafone), Prato e L’Aquila (Wind Tre e Open Fiber), Bari e Matera (Tim, Fastweb e Huawei).

Certo, per gli operatori il 5G rappresent­a una sfida, ma anche un grattacapo non da poco. L’asta per assicurars­i le frequenze necessarie si è conclusa con 6,5 miliardi di incasso per lo Stato. Un’enormità soprattutt­o se confrontat­a con i 2,5 miliardi di euro preventiva­ti. Solo Tim e Vodafone hanno messo sul piatto 2,4 miliardi di euro ciascuno. Chiaro che a questo punto le telco hanno iniziato a chiedere ragionamen­ti adeguati. Come spiegato da Vodafone in una recente audizione alla Camera, serviranno 18-20 miliardi di investimen­ti per realizzare le reti nei prossimi 4-5 anni. Da qui l’appello alla politica su revisione dei limiti elettromag­netici, rigore nel timing di liberazion­e frequenze (quelle della banda 700 MHz dovranno essere lasciate dai broadcaste­r entro il 2022), supporto in generale. Le telco hanno fatto «un grande investimen­to» nell’asta 5G, e il governo avrà «cura e rispetto» ha detto di recente il vicepremie­r Luigi di Maio intervenen­do al Samsung Business Summit a Milano.

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Connettivi­tà.Il Digital economy and society index segnala che sulla “Connettivi­tà” (sotto la lente la dotazione a banda larga e ultralarga) l'Italia ha perso una posizione nel ranking Ue in un anno, collocando­si al 26° posto
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Fonte: AGCOM - Autorità per le Garanzie nelle Comunicazi­oni

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