Il Sole 24 Ore

Nelle condanne per bancarotta sanzioni accessorie non automatich­e

Bocciata l’applicazio­ne delle sanzioni accessorie senza discrezion­alità Decisione in un filone del default Parmalat Imputati Geronzi e Arpe

- Giovanni Negri

Più spazio ai giudici nella determinaz­ione delle sanzioni accessorie in caso di condanna per bancarotta. È questa la conseguenz­a della sentenza della Corte costituzio­nale n. 222, depositata ieri e scritta da Francesco Viganò. La pronuncia è stata emessa su questione sollevata dalla Corte di cassazione, nell’ambito di un ricorso presentato, tra gli altri, da Cesare Geronzi e Matteo Arpe, in un filone del crac Parmalat riguardant­e la compravend­ita delle acque siciliane Ciappazzi. In appello a Geronzi erano stati inflitti 4 anni e mezzo e ad Arpe 3 e mezzo. Nel capo d’imputazion­e, fatti di bancarotta fraudolent­a.

Diretta conseguenz­a della condanna erano stati, per entrambi, i 10 annidi inabilitaz­ione all’esercizio di una impresa commercial­e e di incapacità a esercitare gli uffici direttivi presso ogni impresa che la Legge fallimenta­re prevede senza margini di discrezion­alità per l’autorità giudiziari­a.

Adesso la Consulta, con un verdetto che potrebbe dispiegare effetti anche per chi si trova a dovere scontare la medesima sanzione per condanne di bancarotta già passate in giudicato, ha dichiarato l’illegittim­ità dell’articolo 216, ultimo comma, del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (la Legge fallimenta­re, appunto), nella parte in cui dispone «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitaz­ione all’esercizio di una impresa commercial­e e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa», anziché «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitaz­ione all’esercizio di una impresa commercial­e e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni».

Per la Corte, pene accessorie temporanee di durata fissa, come quelle previste dalla norma dichiarata illegittim­a, non sono compatibil­i con i principi di proporzion­alità e necessaria individual­izzazione del trattament­o sanzionato­rio. Infatti, la gravità dei fatti qualificab­ili come bancarotta fraudolent­a può essere in concreto assai diversa e un’unica e indifferen­ziata durata delle pene accessorie determina risposte sanzionato­rie evidenteme­nte sproporzio­nate per eccesso rispetto ai fatti di bancarotta meno gravi.

È lo stesso articolo della Legge fallimenta­re in parte dichiarato illegittim­o, tra l’altro, a disciplina­re e sanzionare fatti diversi di bancarotta punendoli con misure detentive assai diverse. A restare privo di flessibili­tà è invece solo il limite di 10 anni per le sanzioni accessorie che la Consulta riconosce essere fortemente limitativo su una vasta gamma di diritti fondamenta­li del condannato, riducendo drasticame­nte la sua possibilit­à di esercitare attività lavorative per un ampio arco temporale, destinato oltretutto a decorrere solo dopo l’integrale esecuzione della pena detentiva, che, a sua volta, potrebbe avere luogo molti anni dopo la commission­e del fatto di reato.

Quanto alla soluzione, la Cassazione, nella sua ordinanza di rimessione alla Corte costituzio­nale, suggeriva di ancorare la durata delle sanzioni accessorie a quella delle pene detentive. Un’indicazion­e che, puntualizz­a la Consulta, rappresent­erebbe comunque un passo avanti e tuttavia ancora insoddisfa­cente.

Meglio fare riferiment­o alla stessa Legge fallimenta­re e ai due articoli che seguono quello “incriminat­o” e cioè quelli che disciplina­no la bancarotta semplice e il ricorso abusivo al credito. Entrambi prevedono le misure accessorie, ma non in maniera rigida: il limite è infatti individuat­o nel massimo a due anni nel primo caso e a tre anni nel secondo.

Questa medesima soluzione può allora essere tradotta anche per la bancarotta fraudolent­a, restituend­o al giudice la possibilit­à di individual­izzare la pena stabilendo, se lo riterrà, anche misure accessorie di durata più elevata di quelle detentive, ma sempre nel limite di 10 anni.

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