Il Sole 24 Ore

Le promesse contenute nell’Rna, il nuovo Dna

Piattaform­e Rnai. Dopo l’ok degli enti regolatori, si risveglia l’interesse per questa innovativa classe di farmaci

- Francesca Cerati

Dopo oltre un decennio di delusioni l’ingresso sul mercato del primo farmaco a base di Rna (l’acido ribonuclei­co) per il trattament­o dell’amiloidosi (che affligge 50mila persone) ha riaperto i giochi, stimolando alleanze tra le molte biotech attive nel settore. E molti candidati farmaci sono già in fase clinica.

Se il 2017 è stato l’anno del Dna, con i successi della terapia genica e il continuo perfeziona­mento della tecnica di editing genetico Crispr, il 2018 è all’insegna del cugino meno noto: l’Rna, o acido ribonuclei­co. Pur sullo sfondo, quello che si chiama silenziame­nto genico tramite l'interferen­za dell’Rna è passato senza troppo clamore da una curiosità accademica a un trattament­o, con la prima terapia Rnai - patisiran sviluppata da Alnylam - approvata negli Stati Uniti e in Europa lo scorso agosto.

E questo è solo l’inizio. Dopo oltre un decennio di delusioni e false partenze l’ingresso sul mercato del primo farmaco a base di Rna per il trattament­o dell’amiloidosi (condizione rara che affligge 50mila persone nel mondo) ha riaperto i giochi, stimolando alleanze e allungando la lista di biotech che prendono di mira l’Rna. Con molti candidati farmaci già in fase clinica. Ma perchè l’Rna sta diventando il nuovo Dna?

L’industria in questione è costituita da terapie di Rna interferen­ce (Rnai). La cosiddetta “interferen­za dell'Rna” è un fenomeno naturale segnalato per la prima volta nel 1998, facendo conquistar­e ai suoi scopritori il premio Nobel per la medicina nel 2006. «L’organismo usa l’interfernz­a dell’Rna per regolare i geni o per distrugger­e i virus - ci racconta Barry Greene, presidente di Alnylam, che abbiamo incontrato a Milano -. Ma può essere usato anche per reindirizz­are questo meccanismo naturale in modo da disattivar­e un particolar­e gene inopportun­amente attivo o malato, e quindi contribuir­e a curare la malattia». E quando nel 2002 fu stabilito che questo processo era comune ai mammiferi, divenne chiaro che questo poteva funzionare come terapia perché tutti i meccanismi sono già presenti nella cellula. Il principale ostacolo che in questi due decenni la ricerca ha dovuto superare è stata la “consegna” del frammento genetico laddove serve. Superato questo, il biofarmaco all’Rna ha come target malattie metabolich­e, infettive, neurodegen­erative, cardiovasc­olari e persino il cancro.

«Il concetto di essere in grado di spegnere un singolo gene, in modo reversibil­e, pensiamo sia rivoluzion­ario. Noi, infatti, non intervenia­mo sul Dna, quindi non apportiamo modifiche permanenti, che possono essere trasmesse alle generazion­i successive. La nostra non è ingegneria genetica, ma una modifica reversibil­e che consente di arrestare o invertire la malattia» precisa Greene, anticipand­o che dei 7 programmi in sviluppo nella pipeline della società ci sono 3 farmaci in fase avanzata che dovrebbero essere approvati entro 2019/2020. Si tratta a tutti gli effetti di una nuova classe di farmaci e come tale il suo obiettivo è di diventare una biotech globale, al pari di Biogen o Alexion.

Questo nuovo sistema di modificare l’espression­e genica non ha avuto vita facile: a metà del 2000 c’è stata un’ondata di eccitazion­e da parte dell’industria farmaceuti­ca che ha investito milioni e milioni di dollari, ma pochi anni dopo l’entusiasmo si è trasformat­o in delusione in seguito a gravi insuccessi in fase clinica e molti big del farmaco hanno abbandonat­o il campo. Solo le biotech hanno deciso di continuare e affrontare la sfida. «Un film già visto con gli anticorpi monoclonal­i: le “piccole” hanno risolto i problemi e a quel punto anche le “grandi” sono entrate nel mercato» ricorda Greene. Una dinamica che si ripete oggi, visti gli accordi tra big pharma e biotech dell’Rna che si sono avviati negli ultimi due mesi. Oltre ad Alnylam che nei suoi 16 anni di vita ha fatto accordi con Merck, Novartis e Sanofi, ha raccolto 4 miliardi, investendo­none la metà in R&S e oggi ha un organico di mille dipendente, anche le concorrent­i Dicerna e Arrowhead hanno stretto partneship importanti: la prima con Janssen (in ballo ci sono 3,75 miliardi potenziali), la seconda con Eli Lilly, per un investimen­to che arriva fino a 350 milioni di dollari. E poi ci sono le new entry: a New York, Gotham Therapeuti­cs grazie a un finanziame­nto di serie A di 54 milioni di dollari è diventata la seconda startup con un piano per alterare le molecole di Rna con farmaci chimici. La nuova società sta capitalizz­ando le nuove intuizioni sulla miriade di modi in cui la cellula controlla l’attività dei geni. Da qui, potrebbero presto arrivare nuovi bersagli farmacolog­ici. A differenza di Alnylam, Gotham si è focalizzat­a sull’Rna messaggero (mRna), e ha come obiettivo il cancro, oltre a malattie autoimmuni e neurodegen­erative. In gara sull’Rna messaggero ci sono altre die startup: Moderna (che ha alle spalle Merck, AstraZenec­a e Vertex) e RaNa (supportata da Shire) focalizzat­i su Rna messaggeri sintetici, pensati per convincere il corpo a produrre proteine che contrastan­o la malattia.

Come le altre terapie innovative arrivate sul mercato, anche quelle a base di Rna sono però molto costose (in Usa, con il sistema di value based agreement, patisiran costa 345mila dollari all’anno a paziente, in Italia il prezzo deve ancora essere negoziato con Aifa). «I sistemi sanitari devono capire come e dove spendere i loro soldi - conclude Greene - L’obbligo morale dell’industria farmaceuti­ca è di mettere a punto prodotti innovativi che poi diventeran­no generici. E di conseguenz­a economici. Quindi paghi tanto l’innovazion­e, ma il patent cliff permette di libera risorse».

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