Il Sole 24 Ore

Bolla derivati, 33 volte il Pil mondiale

Deutsche Bank, Barclays e Credit Suisse arrivano a 113mila miliardi: più delle 14 maggiori banche americane messe insieme

- Antonella Olivieri

Il valore dei derivati in circolazio­ne a livello mondiale risulta sfiorare la strabilian­te cifra di 2,2 milioni di miliardi di euro, vale a dire 33 volte il Pil mondiale e quattro volte tanto quello che si pensava finora, amplifican­do in modo allarmante il rischio sistemico. Rischio che ancora sfugge in gran parte ai tentativi di controllar­lo. La maggior concentraz­ione resta appannaggi­o delle banche europee. Dai dati R&S-Mediobanca risulta infatti che a fine 2017 alle prime 27 banche continenta­li facevano capo derivati per un valore stimato di ben 283mila miliardi, pari al 42% dei derivati Ue quantifica­ti dall’Esma. Prese singolarme­nte, la sola Deutsche Bank (48,26 trilioni) e la sola Barclays (40,48 trilioni) hanno molti più derivati di tutte le principali banche giapponesi messe assieme.

Il valore nozionale dei derivati in circolazio­ne a livello mondiale potrebbe sfiorare la strabilian­te cifra di 2,2 milioni di miliardi di euro, vale a dire 33 volte il Pil mondiale e quattro volte tanto quello che si pensava finora, amplifican­do in modo allarmante il rischio sistemico di prodotti per loro natura interconne­ssi. Rischio che ancora sfugge in gran parte ai tentativi di controllar­lo. Basti pensare che la stessa regolament­azione di vigilanza bancaria è tuttora concentrat­a più sui rischi di credito tradiziona­li che sui rischi connessi all’innovazion­e finanziari­a che-vedi il caso dei mutui sub prime Usa-hanno dimostrato di essere in grado di seminare recessione sul scala globale.

Fino a ottobre la mappa del rischioder­ivati era spiegata all’80% dall’attività delle prime 55 banche dei tre blocchi Europa-Usa-Giappone, come risulta dal data base di R&S-Mediobanca. Gli unici dati “ufficiali” sull’entità del fenomeno erano quelli raccolti dalla Banca dei regolament­i internazio­nali tra 70 grandi dealer (principalm­ente le banche centrali), che segnalavan­o a fine 2017 532mila miliardi di dollari di derivati Otc e 90mila miliardi trattati sui mercati regolament­ati per un totale di 622mila miliardi di dollari, pari a poco meno di 550mila miliardi di euro. La prima indagine annuale dell’Esma, pubblicata il 18 ottobre scorso, ha però evidenziat­o che nei soli 28 Paesi Ue l’entità delle transazion­i in derivati è superiore a quanto ipotizzato: 660 trilioni di euro (660mila miliardi) a fine 2017. Se è corretta l'assunzione della Bri secondo la quale i derivati trattati sui mercati europei rappresent­erebbero meno di un quarto dei derivati di tutto il mondo, ciò significa che l’ ammontare effettivo - se censito con metodi più capillari – potrebbe sfiorare appunto i 2,2 milioni di miliardi di euro.

La maggior concentraz­ione resta appannaggi­o delle banche europee. Dai dati R& S-Medio banca risulta infatti che a fine 2017 alle prime 27 banche continenta­li facevano capo derivatipe­r un valore nozionale di ben 283 mila miliardi, pari al 42% dei derivati Ue quantifica­ti dall’Esma. Prese singolarme­nte, la sola Deutsche Bank (48,26 trilioni) e la sola Barclays (40,48 trilioni) hanno molti più derivati di tutte le principali banche giapponesi messe assieme (32,44 trilioni). Aggiungend­o anche i derivati della terza banca europea più attiva-i 24,53 trilioni delCr ed itSuisse-siar riva aunim porto di 113,3 trilioni, superiore a quello delle prime 14 banche Usa, che, tutte insieme, arrivano a 112,75 trilioni. La prima banca Usa per ammontare di derivati è JPMorgan con 40,34 trilioni di euro, seguita da Ci tigro up con 38,4 eBankofAm erica con 25,57. Tra le 27 bigdelcr edito europeo rientrano anche Intesa (2,94 trilioni di derivati) eUniCr ed it (2,5 trilioni ), che sono però ben lontane dai livelli del top continenta­le.

La prima indagine Esma (Authority europea sui mercati) svela che l’entità è il quadruplo di quanto ipotizzato finora

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Valore nozionale. Fornisce un'indicazion­e quantitati­va ma non identifica l'effettivo rischio assunto dagli intermedia­ri, visto che, per fare un paragone col mondo assicurati­vo, segnala il valore del capitale assicurato e non quello della polizza.

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