Il Sole 24 Ore

Quei segnali (moltiplica­ti) di frenata

Negli Usa riforma fiscale e guerra sui dazi hanno mascherato il rallentame­nto

- Riccardo Sorrentino

Ormai se l’aspettano in tanti. L’attuale fase di espansione economica è durata molto - nove anni negli Usa, con brevissime “soste”, cinque anni e mezzo in Eurolandia - e cominciano a moltiplica­rsi i segni di un rallentame­nto. Il 2020 sembra la data più probabile per la nuova fase del ciclo economico.

Basta ascoltare, del resto, la stessa Federal reserve. Non i suoi governator­i, che sono policymake­rs, ma i suoi economisti: sulla base della curva dei rendimenti, la Fed di Cleveland dà una probabilit­à di recessione del 20,27% entro un anno. L’ultima volta che, in una fase di espansione, si è raggiunto questo livello era ottobre 2005 (e la previsione per ottobre 2006). Non sono però mancati, alla fine del 900, momenti in cui la probabilit­à è stata anche più alta e non si è assistitit­o a una recessione.

La realtà offre diversi fattori che potrebbero determinar­e un progressiv­o rallentame­nto. Non il rialzo dei tassi della Federal reserve: oggi i Fed Funds sono al 2-2,25%, e le diverse regole di politica monetaria indicano un tasso ottimale mediano del 2,33% (con un massimo al 4,06% e un minimo all’1,70%). La Taylor rule, in particolar­e, indica un 4% circa. Difficile quindi che il livello ufficiale del costo del credito sia davvero o possa diventare presto un fattore di freno.

È Donald Trump che lo ha trasformat­o in un problema perché deve finanziare un deficit pubblico in rapida espansione. È più probabile che gli effetti della riforma fiscale di Trump, che hanno temporanea­mente accelerato i consumi, e la volatilità impressa alle esportazio­ni dai suoi dazi abbiano temporanea­mente mascherato il naturale rallentame­nto dell’attività economica.

In Eurolandia - dove non ha senso guardare alla curva dei rendimenti, alterata dagli acquisti della Bce - il segno meno si è già manifestat­o nelle statistich­e sul Pil. In Germania, dove ha pesato la riconversi­one dell’industria dell’auto, e di riflesso in Italia, dove hanno forse pesato anche le forti incertezze generate dal Governo e l’irrigidime­nto degli standard nella concession­e del credito. Eurolandia nel suo complesso ha però soltanto rallentato, anche se la frenata è diventata più brusca nel terzo trimestre.È possibile che abbia pesato la decelerazi­one del commercio globale: il dettaglio non è ancora disponibil­e ma i trend di importazio­ni ed esportazio­ni sono stati i primi a frenare, con intensità diverse. Anche se nel lungo periodo il contributo alla crescita delle esportazio­ni nette, in Eurolandia, è sempre stato piuttosto basso.

La frenata - dopo una fase di surriscald­amento - sembra aver soltanto riportato il pil di Eurolandia alla velocità di crociera, anche se occorrerà guardare con attenzione - come sempre, per valutare il ciclo - agli investimen­ti, che subito risentono del mutato clima. La politica monetaria, in ogni caso, resta molto espansiva e punta a sostenere la domanda. A parte il caso italiano, che ha una storia a sé, è allora verosimile che si tratti, al momento, di un malessere temporaneo.

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