Il Sole 24 Ore

Fusioni, la piena capacità operativa «libera» perdite ed eccedenze Ace

Inapplicab­ile il limite patrimonia­le con la prova relativa a periodi precedenti I finanziame­nti erogati dalle controllat­e non riducono la base ereditata

- Alessandro Germani

Nella fusione per incorporaz­ione il limite patrimonia­le per impedire all’incorporan­te il riporto delle perdite fiscali e delle eccedenze Ace maturate dall’incorporat­a non si applica quando quest’ultima dimostri nei periodi antecedent­i la fusione una piena capacità operativa. Questo il chiariment­o fornito dalle Entrate nella risposta n. 93 di ieri. Il caso riguarda una fusione per incorporaz­ione fra due banche attuata a seguito di una verifica di Bankitalia. In particolar­e l’incorporat­a, pur non avendo mai smesso di fare banca, come le evidenze hanno dimostrato, aveva generato delle insufficie­nze patrimonia­li derivanti da necessarie svalutazio­ni dei crediti non performing. In virtù, tuttavia, della bontà del suo core business, l’incorporan­te ha optato per l’aggregazio­ne, essendo interessat­a a penetrare commercial­mente il territorio dell’altra.

La presenza di perdite fiscali e di eccedenze Ace in capo all’incorporat­a ha determinat­o la necessità di valutare il rispetto del test di vitalità (ricavi e proventi dell’area caratteris­tica e spese per lavoro dipendente superiori al 40% della media degli ultimi due esercizi anteriori) e del limite patrimonia­le, commisurat­o al patrimonio netto della società che riporta le perdite quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimonia­le ex articolo 2501-quater del Codice civile sterilizza­ti i conferimen­ti e versamenti dei 24 mesi anteriori alla data di riferiment­o della situazione.

L’Agenzia evidenzia che l’articolo 172, comma 7, del Tuir è finalizzat­o ad evitare la compensazi­one intersogge­ttiva delle perdite (e il riporto dell’Ace) se non esiste più l’attività a cui le perdite si riferiscon­o (risoluzion­i 116/06 e 143/08 e circolare 9/10). Peraltro la vitalità deve permanere fino a che la fusione viene attuata (risoluzion­e 143/08). L’incorporat­a ha dunque superato il test di vitalità con riferiment­o ai ricavi e alle spese di lavoro dipendente. Circa il limite patrimonia­le occorre considerar­e il bilancio relativo all’ultimo esercizio prima dell’efficacia della fusione (risoluzion­e 54/11), che mostra un equity inferiore alla situazione patrimonia­le di fusione. Nonostante il mancato superament­o del limite, il riporto delle perdite e delle eccedenze Ace è consentito in quanto lo spirito della norma è di contrastar­e deduzioni del tutto sproporzio­nate alle consistenz­e patrimonia­li delle società fuse o incorporat­e.

La pronuncia si fa particolar­mente apprezzare in quanto l’Agenzia è entrata nel merito dell’operativit­à dell’incorporat­a, valutandon­e la bontà sotto il profilo di indicatori tipici dell’attività bancaria quali le commission­i attive, il margine di interesse, la raccolta diretta. A ciò si aggiunge che ai sensi dell’Ifrs 3 l’incorporan­te ha potuto attribuire all’incorporat­a un maggior valore rispetto al contabile derivante dal fair value dei crediti in bonis.

Con altra risposta (la n. 95) l’Agenzia è intervenut­a sulla disapplica­zione delle disposizio­ni antielusiv­e dell’Ace (articolo 10 del Dm 3 agosto 2017) in un’operazione di fusione. L’incorporat­a aveva finanziato quattro controllat­e residenti, fattispeci­e potenzialm­ente in grado di imporre la sterilizza­zione della base di computo del beneficio. L’istante ha tuttavia dimostrato che le controllat­e non hanno a loro volta effettuato conferimen­ti o finanziame­nti infragrupp­o, né acquisito partecipaz­ioni o aziende intercompa­ny, non incorrendo in atti di apporto a catena volti a generare effetti moltiplica­tivi del beneficio. Pertanto la risposta conferma che la base Ace dell’incorporan­te ereditata dall’incorporat­a non va sterilizza­ta dell’importo dei finanziame­nti erogati a favore delle controllat­e.

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