Fusioni, la piena capacità operativa «libera» perdite ed eccedenze Ace
Inapplicabile il limite patrimoniale con la prova relativa a periodi precedenti I finanziamenti erogati dalle controllate non riducono la base ereditata
Nella fusione per incorporazione il limite patrimoniale per impedire all’incorporante il riporto delle perdite fiscali e delle eccedenze Ace maturate dall’incorporata non si applica quando quest’ultima dimostri nei periodi antecedenti la fusione una piena capacità operativa. Questo il chiarimento fornito dalle Entrate nella risposta n. 93 di ieri. Il caso riguarda una fusione per incorporazione fra due banche attuata a seguito di una verifica di Bankitalia. In particolare l’incorporata, pur non avendo mai smesso di fare banca, come le evidenze hanno dimostrato, aveva generato delle insufficienze patrimoniali derivanti da necessarie svalutazioni dei crediti non performing. In virtù, tuttavia, della bontà del suo core business, l’incorporante ha optato per l’aggregazione, essendo interessata a penetrare commercialmente il territorio dell’altra.
La presenza di perdite fiscali e di eccedenze Ace in capo all’incorporata ha determinato la necessità di valutare il rispetto del test di vitalità (ricavi e proventi dell’area caratteristica e spese per lavoro dipendente superiori al 40% della media degli ultimi due esercizi anteriori) e del limite patrimoniale, commisurato al patrimonio netto della società che riporta le perdite quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale ex articolo 2501-quater del Codice civile sterilizzati i conferimenti e versamenti dei 24 mesi anteriori alla data di riferimento della situazione.
L’Agenzia evidenzia che l’articolo 172, comma 7, del Tuir è finalizzato ad evitare la compensazione intersoggettiva delle perdite (e il riporto dell’Ace) se non esiste più l’attività a cui le perdite si riferiscono (risoluzioni 116/06 e 143/08 e circolare 9/10). Peraltro la vitalità deve permanere fino a che la fusione viene attuata (risoluzione 143/08). L’incorporata ha dunque superato il test di vitalità con riferimento ai ricavi e alle spese di lavoro dipendente. Circa il limite patrimoniale occorre considerare il bilancio relativo all’ultimo esercizio prima dell’efficacia della fusione (risoluzione 54/11), che mostra un equity inferiore alla situazione patrimoniale di fusione. Nonostante il mancato superamento del limite, il riporto delle perdite e delle eccedenze Ace è consentito in quanto lo spirito della norma è di contrastare deduzioni del tutto sproporzionate alle consistenze patrimoniali delle società fuse o incorporate.
La pronuncia si fa particolarmente apprezzare in quanto l’Agenzia è entrata nel merito dell’operatività dell’incorporata, valutandone la bontà sotto il profilo di indicatori tipici dell’attività bancaria quali le commissioni attive, il margine di interesse, la raccolta diretta. A ciò si aggiunge che ai sensi dell’Ifrs 3 l’incorporante ha potuto attribuire all’incorporata un maggior valore rispetto al contabile derivante dal fair value dei crediti in bonis.
Con altra risposta (la n. 95) l’Agenzia è intervenuta sulla disapplicazione delle disposizioni antielusive dell’Ace (articolo 10 del Dm 3 agosto 2017) in un’operazione di fusione. L’incorporata aveva finanziato quattro controllate residenti, fattispecie potenzialmente in grado di imporre la sterilizzazione della base di computo del beneficio. L’istante ha tuttavia dimostrato che le controllate non hanno a loro volta effettuato conferimenti o finanziamenti infragruppo, né acquisito partecipazioni o aziende intercompany, non incorrendo in atti di apporto a catena volti a generare effetti moltiplicativi del beneficio. Pertanto la risposta conferma che la base Ace dell’incorporante ereditata dall’incorporata non va sterilizzata dell’importo dei finanziamenti erogati a favore delle controllate.