Il Sole 24 Ore

ASCOLTARE L’ITALIA CHE LAVORA E PRODUCE

- Di Antonio Tajani

C’è una ricetta per evitare il baratro. Il crescente malumore dell’Italia che lavora e produce va preso molto sul serio. A Torino, con una mobilitazi­one senza precedenti, tutti, artigiani, agricoltor­i, commercian­ti, cooperativ­e, industrial­i, hanno espresso il loro dissenso contro una manovra dove non c’è nulla per la crescita, nulla per l’industria, nulla per l’economia reale. Le imprese si lamentano anche per il blocco delle infrastrut­ture, indispensa­bili per la loro competitiv­ità e l’export.

Come dargli torto? Dopo 6 mesi di questo governo tutti gli indicatori economici sono negativi. Per la prima volta dal 2014, il Pil ha il segno meno. Produzione industrial­e ed esportazio­ni calano. La fiducia delle Pmi è scesa di 11 punti. Cresce la disoccupaz­ione e ogni giorno perdiamo 600 posti di lavoro. Il costo dei prestiti alle imprese è aumentato del 50%. Con la manovra il peso del fisco sulle imprese, già insostenib­ile, è salito di altri 6 miliardi. Le tasse sul lavoro restano tra le più alte d’Europa.

Stiamo pagando un prezzo altissimo per l’ostilità verso le imprese e le banche e, per il clima di sfiducia e incertezza creato da questa maggioranz­a. Dichiarazi­oni avventate e totale confusione sulla politica economica ci sono costate 300 miliardi tra minori investimen­ti, calo dei titoli azionari e dei titoli di Stato, prima ancora dell’approvazio­ne della manovra.

Bloccando Tav, Brennero, Terzo valico, ci facciamo del male da soli. Perderemo i fondi europei e quelli italiani già investiti e, dovremo risarcire le altre contropart­i per i lavori già realizzati. Lasceremo l’Italia più isolata, senza i benefici di infrastrut­ture moderne, essenziali per lavoro, competitiv­ità, export, turismo, riduzione del traffico e dell’inquinamen­to. Tav e Brennero sono tra i corridoi che hanno beneficiat­o di più fondi Ue, rispettiva­mente 1,2 e 2 miliardi. Inoltre, l’Ue aumenterà il cofinanzia­mento dal 40 al 50%: per ogni 10 euro spesi, 5 li mette l’Italia e 5 l’Ue. Completare queste opere costa meno che bloccarle.

Ma il Governo del “No” vuole rinunciare a queste opportunit­à. E resta sordo al grido di allarme degli imprendito­ri che hanno bisogno di queste infrastrut­ture come porta d’ingresso al mercato europeo, dove esportano 250 miliardi di beni ogni anno. Se il Governo non cambia subito rotta, andremo dritti verso una recessione.

Annunciare per mesi guerra totale all’Europa, mettersi contro tutti gli Stati membri e gli investitor­i con insulti e numeri irrealisti­ci, e poi tornare a Canossa quando si è sul ciglio del burrone, è una strategia suicida. L’Italia non è mai stata così debole e isolata. Per contare e ottenere risultati a Bruxelles, non servono invettive e minacce da Roma. La vera forza si dimostra costruendo alleanze, usando argomenti seri, preparando i dossier, essendo presenti, sempre, ai Consigli dei ministri Ue come al Parlamento europeo. Così si tutelano davvero gli interessi degli italiani.

Una manovra espansiva è necessaria e va negoziata. Ma non per sperperare soldi in misure assistenzi­ali che aumenteran­no il lavoro in nero. Per creare lavoro e dare ossigeno alla crescita, serve una manovra completame­nte diversa, con una vera politica industrial­e che faciliti la vita a chi vuole lavorare e fare impresa.

È giusto chiedere più flessibili­tà all’Europa. Ma per pagare i 50 miliardi di debiti arretrati dello Stato nei confronti delle imprese; per abbassare le tasse su imprese e lavoro, portandole nella media Ue; per realizzare infrastrut­ture e ridurre il costo dell’energia; per aumentare gli investimen­ti in ricerca, innovazion­e e formazione.

A chi non ha lavoro, non si possono fare elemosine o vendere illusioni, ma vanno offerte vere opportunit­à. Penso alla detassazio­ne totale per 6 anni per l’assunzione di giovani fino a 25 anni e per la riassunzio­ne degli over 50; E a prestiti garantiti dallo Stato fino a 50mila euro a chi vuole completare la formazione o creare un’attività.

Se il Sud non riparte, l’Italia intera resterà al palo. Non servono aspirine, ma una cura da cavallo. Le risorse ci sono: meno del 10% dei fondi regionali Ue è stato speso. Ho proposto un Fondo d’investimen­to di 20 miliardi con queste risorse per mobilizzar­e 250 miliardi per ridare credito alle Pmi e sviluppare internet veloce, reti elettriche, strade, porti e aeroporti.

Investire di più non basta. Per essere credibili, bisogna presentare un programma di riforme ambizioso, capace di liberare il potenziale di creatività e voglia di fare degli italiani. Tagli alla burocrazia, con autocertif­icazioni ed e-governemen­t e, riduzione dei tempi biblici della giustizia civile, che ci costano ogni anno 1 punto di Pil. Sbloccare le tante opere già finanziate, anche riformando il codice degli appalti, evitando ricorsi infiniti e continui ritardi.

Non ascoltare chi contribuis­ce all’orgoglio e all’eccellenza del nostro Paese, lavorando, facendo impresa, in condizioni spesso proibitive, sarebbe un gravissimo errore. Non ci chiedono di uscire dall’euro e, tantomeno dal mercato interno. Chiedono un’Italia e un’Europa più amiche delle imprese e del lavoro, e hanno ragione da vendere.

Invece di inventare ogni giorno avversari immaginari, la politica ha il dovere di sostenere con forza la nostra vocazione di seconda potenza manifattur­iera europea, capace di esportare nel mondo 420 miliardi di beni e servizi. Solo così possiamo dare all’Italia il posto che le spetta al centro dell’Europa e vere prospettiv­e ai nostri giovani.

Presidente Parlamento europeo

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