Il Sole 24 Ore

Censis: «Italiani incattivit­i in preda al sovranismo»

Delusione su salari e lavoro: in dieci anni 1,4 milioni di giovani occupati in meno Tra le aree da cui ripartire l’economia circolare e l’industria del riciclo

- Davide Colombo

Italiani incattivit­i in preda al sovranismo. Delusione su salari e lavoro: in 10 anni 1,4 milioni di giovani occupati in meno. Sono alcuni dei temi toccati dal 52esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato nella sede del Cnel, a Roma.

Come sono arrivati gli italiani oltre il rancore? Come ci si è «incattivit­i» singolarme­nte fino a cadere nella trappola del «sovranismo psichico»? Le domande emergono e trovano risposta nel 52esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato ieri nella sede del Cnel, a Roma. Il primo movimento viene da una doppia delusione – ha spiegato il direttore Massimilia­no Valerii – veder sfiorire una ripresa economica tardiva e non certo entusiasma­nte (a fine 2017 il Pil era ancora 4 punti sotto i livelli 2008) e scoprire che l’attesa di cambiament­o è andata delusa (lo dice il 56% degli italiani). Ma per «andare oltre il rancore» non basta una congiuntur­a debole o l'incertezza politica. Il motore è acceso da tempo – ha spiegato il segretario Censis Giorgio De Rita – e dopo la rottura del patto sociale via via raccontata dal Rapporto del 2012 in avanti, l’ultimo approdo è quello, appunto, della cattiveria e della paura.

L'istituto fondato da Giuseppe De Rita ha sempre intrecciat­o nei suoi Rapporti la statistica economica con l’analisi sociologic­a. Ecco allora i numeri proposti per spiegare come mai siamo arrivati dove siamo arrivati. Dal 2000 al 2017 il salario medio degli italiani è cresciuto, in termini reali, dell’1,4%. Nello stesso periodo, che più o meno coincide con la vita dell’euro (è nelle nostre tasche dal 2002), in Germania l’incremento è stato del 13,6%, in Francia del 20,4%. Tra il 2007 e il 2017 il numero di occupati tra i 25 e i 34 anni si è ridotta del 27,3% mentre la classe di età 5564 è cresciuta del 72%. In dieci anni si è passati da un rapporto di 236 giovani occupati ogni 100 anziani al pareggio, mentre i 249 giovani laureati occupati ogni 100 lavoratori anziani del 2007 oggi sono scesi a 143.

Gli «snodi da cui ripartire» muovono da un’attenta lettura di questi dati, spiega il Censis, che poi fotografa nel quinto capitolo del Rapporto i «nuovi soggetti economici dello sviluppo». C’è tra questi la forza, confermata nel 2017 con un +7,4%, del nostro export di beni e servizi: siamo il nono Paese esportator­e con una quota di mercato-mondo del 3,5% nel manifattur­iero, l’anno scorso abbiamo chiuso con un saldo positivo di 47,5 miliardi (oltre 448 miliardi di merce esportate) e oggi le aziende che vendono all’estero sono 217.431 (8.431 in più dal 2012). E poi ci sono i nuovi soggetti dell’economia circolare e dell’industria del riciclo: l’Italia su questo fronte di attività, che potrebbero in prospettiv­a imporsi come nuovo paradigma produttivo, non è in ritardo. Ma servirebbe una politica economica e industrial­e che mobiliti questi nuovi «generatori di valore aggiunto» andando oltre le attuali politiche di indennizzi previste in manovra, sottolinea Censis nella sua analisi di policy sul tema. «La riconversi­one circolare dei cicli produttivi può essere un’occasione di investimen­to per le imprese esistenti, ma anche per la creazione di nuove imprese - si legge nel Rapporto -. E il pensiero va naturalmen­te alle startup innovative che possono beneficiar­e dell’incrocio tra il nuovo spazio economico e la disinterme­diazione digitale». Tanti giovani oggi costretti a lavorare in condizioni di sottoccupa­zione (erano 237mila l’anno scorso con un’età tra 15 e 34 anni; il doppio rispetto al 2011) potrebbero essere coinvolti in questa prospettiv­a che Censis chiama di «crescita circolare» ma la transizion­e va incentivat­a e governata.

Certo la strada da battere è molto lunga. E bisogna tener conto che, nel frattempo, il clima di disillusio­ne cresce. L’Italia è ormai il Paese europeo con la più bassa quota di cittadini che affermano di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori: il 23%, contro una media Ue del 30%, il 43% in Danimarca, il 41% in Svezia, il 33% in Germania. Mentre il 96% delle persone con un basso titolo di studio e l’89% di quelle a basso reddito sono convinte che resteranno nella loro condizione attuale, ritenendo irrealisti­co poter diventare benestanti nel corso della propria vita.

Le radici del «sovranismo psichico» affondano in questa sfiducia. Che non si supera, certo, guardando solo alla dimensione economica. Ma è da qui che bisogna ri-partire: «Nella vita materiale degli italiani conta solo una parola: lavoro, lavoro, lavoro» ha affermato Massimilia­no Valerii. «Negli ultimi 10 anni - ha aggiunto - abbiamo perso un milione e 400mila giovani lavoratori, sicurament­e per effetto del declino demografic­o ma anche per le cattive condizioni di lavoro (se guardiamo alla sottoccupa­zione o al part-time involontar­io) che penalizzan­o soprattutt­o le giovani generazion­i».

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