Il Sole 24 Ore

L’OPACA BUSSOLA FED CHE GUIDA TASSI E INFLAZIONE

- Di Donato Masciandar­o

Dove stanno andando tassi di interesse e inflazione? Quando più cresce l’incertezza, tanto più crescono i vantaggi per l’economia mondiale di avere una banca centrale che fa da bussola. Purtroppo la Federal Reserve (Fed) sembra aver deciso un cambio di strategia: dalla politica degli annunzi, ancorché monca, si potrebbe passare al “guarda e aspetta”. Ai mercati questa svolta è sembrata piacere. In realtà sarebbe una pessima notizia, perché vorrebbe dire navigare senza una stella polare.

Tutti gli indicatori elaborati in questi anni, soprattutt­o a partire da quella grande sorpresa che è stata la Crisi del 2008, ci dicono che nello scacchiere degli scambi reali è finanziari il dato da cui partire oggi è un aumento dell’incertezza. La reazione è duplice. Da un lato, si può essere portati a osservare che accendere i riflettori sull’incertezza sembra essere diventata la storia dell’attenti al lupo degli ultimi decenni; ad esempio, nel 1977, l’accademico John Galbraith scriveva un libro intitolato “L’età dell’incertezza”, per marcare come tratto caratteris­tico dell’evoluzione macroecono­mica di quegli anni proprio il ruolo della maggiore incertezza. Da un’altra prospettiv­a, non si può negare che i focolai di incertezza che possono avere rilevanza globale sono oggi almeno quattro: i rischi di una guerra commercial­e; gli imprevedib­ili effetti di una politica fiscale pro-ciclica degli Stati Uniti; l’oscillare del prezzo del petrolio; i focolai di instabilit­à europei, rappresent­ati rispettiva­mente dal caso britannico e da quello italiano. Ma qualunque sia la prospettiv­a che si adotta, la nebbia sta scendendo sulle direzioni che potranno prendere i tassi di interesse nei prossimi mesi.

E allora la domanda diventa: abbiamo una bussola? Per trovare la risposta, partiamo dal fatto che abbiamo una mappa, chiamiamol­a di Fisher, che - in generale e provando ad allungare l’orizzonte - ci dice che i tassi di interesse si muovono seguendo il percorso del rendimento reale del capitale e quello dell’inflazione. A loro volta, l’andamento di queste due variabili chiama in causa un attore di politica monetaria: la banca centrale; anzi, la Banca centrale per eccellenza, vale a dire quella americana, che governa la moneta con cui sono governati la maggioranz­a degli scambi mondiali, reali e finanziari.

Dunque il quesito principale si spezza in due: innanzitut­to, dove sta andando il tasso di rendimento reale del capitale? Se si dà una occhiata ai trend di lungo periodo - per la precisione dal 1870 al 2016 - si fanno due scoperte, guardando in particolar­e dal dopoguerra a oggi.

La prima scoperta è che il rendimento

GLI ANNUNCI DI POLITICA MONETARIA SONO DECISIVI PER ASPETTATIV­E E INFLAZIONE

reale globale è rimasto in media intorno ai 200 punti base, salendo a 250 punti base negli anni 80, per poi iniziare una discesa tendenzial­e - e inedita - verso i 50 punti base.

La seconda scoperta è che dagli anni Settanta in avanti il rendimento globale è sostanzial­mente coinciso con quello statuniten­se, confermand­o che è alla Fed che bisogna guardare. Certo, in generale si dice che il rendimento reale del capitale è indipenden­te dalla politica monetaria. Ma oggi non tutti ne sono convinti; ad esempio, la Banca dei Regolament­i Internazio­nali si continua a chiedere se dieci anni di continua e straordina­ria crescita della liquidità - trainata appunto dalle scelte della Fed - non abbia contribuit­o a questo azzerament­o del tasso di remunerazi­one del capitale.

Ma senza dubbio - e nuovamente - alla Fed bisogna guardare quando si affronta la seconda domanda: dove sta andando l’inflazione? Qualunque idea si abbia delle determinan­ti del tasso di inflazione, nessuno nega che un ruolo fondamenta­le venga giocato dalle aspettativ­e. A loro volta, sulla dinamica delle aspettativ­e può giocare una funzione cruciale la politica degli annunzi di politica monetaria, soprattutt­o se la sorgente è la banca centrale più importante del globo.

La Fed d’altra parte può essere considerat­a un pioniere della politi- ca degli annunzi: nel febbraio 1994 iniziò per prima ad annunziare le decisioni sui tassi di interesse. Ma soprattutt­o la politica degli annunzi è divenuto un cardine della strategia non convenzion­ale di politica monetaria dell’ultimo decennio. La politica degli annunzi è diventata la bussola per i mercati. Certo la Fed non ha mai rappresent­ato una bussola completame­nte affidabile. È una banca centrale che non ha mai dichiarato in modo sistematic­o e completo i suoi obiettivi - a differenza ad esempio della Banca centrale europea (Bce). Inoltre non ha fatto divenire gli annunzi un aspetto vincolante per l’istituzion­e nel suo insieme – come è per la Bce – limitandos­i a offrire le previsioni anonime dei singoli membri del suo consiglio.

Dunque la Fed è stata finora una bussola opaca. Il problema è che ora le prospettiv­e sembrano addirittur­a peggiori. Di fronte alla crescente incertezza - e forse soprattutt­o all’aumento delle critiche da parte del Presidente Trump - la bussola ha deciso di smettere di funzionare. Le dichiarazi­oni dei singoli consiglier­i della Fed, con il passare dei giorni, procedono in ordine sparso. Un solo sembra essere l’elemento comune: guarda e aspetta. Prudenza o opportunis­mo? Qualunque cosa sia, non è quello che ci si aspetta da una bussola.

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