Scarto netto tra realtà e percezione in una società che gioca solo in difesa
Aparte l’oceano di dati, riveste rilevanza primaria la valutazione sintetica del Censis sugli umori della società italiana. Funge un po’ da termometro mediatico del mood sociale. Un anno fa, il Rapporto ci ammoniva sull’ambivalenza irrisolta tra un'Italia in ripresa e il permanere del rancore sociale diffuso. Oggi sappiamo che ha vinto il rancore sociale, anche a livello elettorale. Anzi, secondo il Censis l’Italia rischia un cattivismo psichico. Lasciando intendere che l’umore pessimistico-rancoroso che circola nella società si mescola con le fotografie del recente arretramento della crescita italiana.
Anche Obama nelle riflessioni di fine mandato quando la fiducia nel Presidente lo stava abbandonando, si chiedeva perché il rancore sociale per la forte deprivazione inflitta dalla crisi, prevalesse sulla ripresa economica e occupazionale degli anni successivi. Un tema di psicologia di “massa” classico e fa bene il Censis ad aggiungere l'aggettivazione “psichico” che allude alla sfera percettiva della società degli individui. La percezione ormai conta più dei fatti. A esempio, non solo in Italia, ma in tutti Paesi occidentali sviluppati, dagli anni Ottanta al 2015, il dimagrimento socioeconomico dei ceti medi è compreso tra il 4% il 10%, ma l’auto-percezione è crollata del 20-30%. Diversi sondaggi hanno sottolineato che la percezione della presenza di immigrati in Italia è almeno di tre volte superiore alla realtà dei fatti.
Cosa origina questi scarti tra realtà e percezione?
Certo la percezione è influenzata dallafinestra socioeconomica, quella che rendiconta il nostro benessere o malessere quotidiano. I fatti per eccellenza che contano ancora molto. Tuttavia, non sono i soli a incidere: sono numerose le finestre su cui si apre la vita. Settori di ceti medi sono stati colpiti, come gli insegnanti, anche dalla caduta di prestigio, da una corrosione dei livelli e degli stili di consumo. Le motivazioni economiche (ci rubano il lavoro, affollano il nostro welfare, eccetera) s’espandono a un mood cattivista che indentifica l’immigrato con il nemico. Ben più preoccupante di una causa economica.
Chi ha governato durante la crisi e, poi, la ripresa ha sottovalutato questo scarto dato dalla percezione che è una verità “corrotta”, ma nella quale i fatti continuano a contare (eccome!) soprattutto con questo senso di incertezza, di inadeguatezza e di solitudine, che il Censis rileva. Era del tutto evidente che dopo una crisi-shock chi avesse governato, alla prima occasione, sarebbe stato punito, con cattiveria se necessario, come Brexit aveva dimostrato. È anche inutile scaricare sull’informazione dei media la diffusione di questo cattivismo psichico, se non per rilevarne la parentela con il cattivismo della rete, un campo da gioco senza troppe regole né dritte morali. Inutile, perché ormai siamo d’accordo che quella realtà virtuale gira assieme ai fatti.
C’è però una ragione più profonda a spiegare la società di oggi. È la falda che si è prodotta nel cambiamento sociale, quando negli anni Ottanta-Novanta, la società ha risentito di un generale rallentamento dell’economia e da società che chiede un dividendo sociale per la crescita realizzata e gioca in offensiva, si trasforma gradualmente in una società che ai giorni nostri è costretta a giocare tutt’al più di rimessa. Ovunque in occidente, la chiusura sociale ha dato alimento a un individualismo amorale, a comunità chiuse nei propri interessi e visioni che spiegano il rischio d’incattivirsi. Molto di più in Italia, dove l’italiano ripone tradizionalmente poca fiducia negli altri, le istituzioni sono deboli e le élite non cessano di deludere.
Morale: Non solo è cambiata la mappa della società - la morfologia dei gruppi-, ma la relazionalità sociale e il suo spessore eticopolitico sono sempre più irriconoscibili. Lo specchio tra società ed élite non si è rotto.
Tra le radici profonde del cambiamento sociale il rallentamento dell’economia cominciato negli anni 80 e 90