Attacco al made in Italy All’Onu la partita finale
Lunedì la decisione su etichette e nuove tasse Centinaio: «Gravissimo» Sul tavolo tre mozioni In queste ore Brasile, Italia e Messico stanno trattando
Sono ore decisive per il futuro del made in Italy del food. Il senso di urgenza è riassunto bene dalle parole del ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio: «E’ gravissimo quello che sta succedendo contro il nostro Paese». All’Onu al momento si è al tutti contro tutti sulla nuova risoluzione sullo sviluppo sostenibile presentata dai sette paesi del gruppo Foreign Policy and Global Health (Brasile, Francia, Norvegia, Indonesia, Sudafrica, Thailandia e Senegal) che, tra le altre cose, al paragrafo 7 ripropone la proposta dell’Oms di introdurre tasse, etichette di alert come quelle delle sigarette, e restrizioni nelle politiche di marketing su «cibi e bevande non salutari». Cibi non salutari che, secondo i tecnici dell’Organizzazione mondiale della sanità, sono quelli che superano determinate soglie di sale, grassi e zuccheri. Un’indicazione che penalizza in maniera sostanziale tutte le eccellenze alimentari italiane - olio extra vergine d’oliva, prosciutto, formaggi, pasta, vini, dolci e così via. Mentre favorisce i prodotti ritoccati in laboratorio con la chimica dalle Big Pharma e dalle multinazionali del food che sostengono l’Oms.
Alla Seconda commissione dell’Assemblea generale in queste settimane sono state presentate sei mozioni sul tema. Ne sono rimaste sul tavolo tre: quella originaria, una messicana che riconosce la decisione dei capi di stato e di governo del 27 settembre al vertice Onu sulle malattie non trasmissibili in linea con la posizione europea e italiana, e un’altra dell’Ecuador ancora più radicale dell’originaria, favorita dal fatto che il paese sudamericano in questo momento ha la presidenza di turno dell’Assemblea generale.
Il termine ultimo per chiudere il negoziato è lunedì: ci vogliono 48 ore di tempo per le traduzioni nelle sei lingue ufficiali, più altre 48 ore per la trafila burocratica prima che la mozione sia sottoposta all’Assemblea generale il 13 dicembre.
In queste ore Brasile, Italia e Messico stanno negoziando per cercare un accordo sul linguaggio del paragrafo 7 ed evitare di andare al voto. Questa è la speranza per l’Italia, ma sembra difficile arrivare a un’intesa: l’ambasciatore brasiliano è poco presente e la giovane diplomatica che conduce i negoziati sembra prendere istruzioni dal ministero della Salute brasiliano, dominato da esponenti fortemente ideologizzati legati all’Oms.
Se non si troverà una convergenza, dunque, si andrà al voto sulla mozione originaria. E lì può succedere di tutto perché ogni paese ha un voto. Se la proposta originaria dovesse passare, tutti i paesi Onu sarebbero legittimati ad approvare leggi nazionali che sarebbero fortemente penalizzanti per l’export agroalimentare italiano: 41 miliardi di euro l’anno, con un trend in crescita. Sarebbe la morte per il made in Italy Dop e Igp, dei piccoli produttori e delle materie prime di qualità. A scapito del cibo di plastica, costruito in laboratorio, tanto di moda negli Stati Uniti – il latte con le vitamine, la farina con gli additivi - paese dove l’obesità è un vero problema sanitario, a differenza dell’Italia, presa a modello dagli scienziati in tutto il mondo per la sua dieta mediterranea.
I negoziati sono in corso. Per l’Italia la trattativa è seguita in prima persona dall’ambasciatrice all’Onu Mariangela Zappia, che nelle scorse settimane ha potuto contare anche sul sostegno dell’inviato speciale del governo, l’ambasciatore Gianberto De Vito, specializzato nelle questioni agroalimentari, che già aveva seguito i negoziati in settembre.
Intanto a Roma il Senato tre giorni fa ha approvato a larghissima maggioranza – 249 voti a favore e solo due contrari – una mozione che impegna il Governo e tutto il sistema paese a difendere il settore agroalimentare italiano in tutte le sedi. Oltre a questo, nella mozione si chiede al governo di avviare un confronto con la Francia, al fine di chiarire quali siano le finalità che hanno portato a promuovere questa iniziativa senza un preventivo accordo con i partner Ue.