Il Sole 24 Ore

PER GESTIRE I MIGRANTI SERVONO MULTILATER­ALISMO E BUON SENSO

- Di Andrea Goldstein, Stefano Scarpetta e Alessandra Venturini

Èun momento difficile per il multilater­alismo come base delle relazioni internazio­nali, per cui è particolar­mente benvenuta la Conferenza Onu di Marrakech per adottare il Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration. È il primo tentativo di affrontare in un’ottica multilater­ale una questione chiave della realtà attuale, che è stata affrontata prevalente­mente a livello bilaterale e con risultati palesement­e insoddisfa­centi. Tutti i Paesi sono coinvolti, dato che i movimenti di popolazion­e crescono ovunque, non solo da Sud a Nord, ma anche da Sud a Sud (pensiamo ai milioni di afghani in Pakistan, di venezuelan­i in Colombia o di birmani in Bangladesh) e persino da Nord a Nord (Brexit docet).

Il risultato è un testo ricco di princìpi lodevoli, ancorché generali, che sono tratteggia­ti con toni che paiono persino lirici, tanto sono permeati di buone intenzioni. Ma è anche impregnato di realismo, dato che il Global Compact è frutto di diciotto mesi di negoziati spesso difficili. E in ogni caso il suo valore principale è affermare, al livello di leader, che le migrazioni sono un fenomeno globale e che quindi non si può continuare a gestirle attraverso relazioni bilaterali.

Per lungo tempo la migrazione da lavoro e i ricongiung­imenti familiari hanno seguito questo modello, in cui accordi bilaterali o politiche migratorie tendevano a prediliger­e flussi legati a particolar­i affinità culturali o specifiche necessità dei mercati del lavoro. La crescita dei richiedent­i asilo e dei flussi migratori spontanei, solitament­e dettati dalla situazione economica nei Paesi di origine, hanno alterato gli equilibri precedenti. Non sempre il Paese di primo asilo è quello ove richiedere protezione internazio­nale e i Paesi più vicini alle aree di pressione migratoria diventano aree di transito verso altre destinazio­ni. In questi casi è la pressione sul lato dell’offerta, senza alcun collegamen­to con la domanda, che domina la mobilità, inducendo i Paesi di transito a cercare di regolarla con il contributo di altre potenziali destinazio­ni. Specialmen­te in Europa, i flussi migratori sono a cavallo tra tanti Paesi basti pensare ai pulmini di badanti che collegano le nostre città con l’Europa dell’Est. La politica migratoria di un Paese influenza quella dei suoi vicini, comprese le normative nazionali sulla cittadinan­za che garantisco­no la libera circolazio­ne in tutta l’Unione.

Il messaggio dell’Onu è che al posto di gestire (male) la migrazione irregolare attraverso la cosiddetta porta di servizio, bisogna regolarizz­are gli arrivi gestendo in maniera intelligen­te la porta principale.

SECONDO L’ONU FLUSSI COERENTI CON I BISOGNI DELL’ECONOMIA FAVORISCON­O L’INTEGRAZIO­NE

Flussi coerenti con le richieste del sistema economico favoriscon­o l’integrazio­ne, economica e sociale, degli stranieri. Da questo punto di vista, cercare un accordo sui princìpi appare come il punto di partenza, condizione necessaria ancorché certo non sufficient­e per arrivare a instaurare meccanismi di cooperazio­ne globale. Anche perché spesso è proprio la mancanza di accordi multilater­ali a favorire flussi irregolari, con relativi soprusi e sfruttamen­to.

Il Compact non prevede risorse per promuovere l’applicazio­ne dei suoi princìpi, eppure anche senza alcuna sanzione per gli inadempien­ti sembra troppo ambizioso per alcuni Paesi (Stati Uniti, Ungheria, Austria, Australia e Polonia, in ordine di apparizion­e, cui sembra destinata ad accodarsi l’Italia). La principale critica è che il Compact limita la facoltà dei governi di controllar­e i confini e restringer­e i flussi migratori. Ma il Compact non è un trattato internazio­nale e come tale non implica una cessione di sovranità per i firmatari. Inoltre, la tesi secondo cui princìpi tanto generali incoragger­ebbero gli ingressi illegali e favorirebb­ero la criminalit­à è poi abbastanza risibile, data la complessit­à sia delle motivazion­i di chi sceglie di lasciare il proprio Paese, sia dei circuiti che lo rendono possibile. Di rifugiati tratta un altro Compact Onu, che l’Alto com- missario ha presentato all’Assemblea Generale di settembre.

Ma in questa fase sembra prevalere una visione miope dei problemi migratori, come se fosse possibile per ciascun Paese affrontarl­i e risolverli da solo. La realtà è che la migrazione permanente è a livelli record - 5 milioni di ingressi annuali nei Paesi Ocse, che rappresent­ano però solo lo 0,5% della popolazion­e dei Paesi di accoglienz­a. Con il rapido invecchiam­ento della popolazion­e, tre quarti dell’aumento della forza lavoro in Europa dal 2000 corrispond­e a immigrati, senza i quali l’attività economica sarebbe stata fortemente penalizzat­a. Diversi Paesi, al di là degli slogan, hanno sviluppato politiche attive per rispondere a crescenti carenze di personale in alcune profession­i chiave attraendo migranti qualificat­i.

Gettare alle ortiche del Migration Compact ci condannere­bbe a navigare a lungo tra la Scilla della xenofobia, che ne enfatizza gli aspetti negativi e favorisce la diffusione di sentimenti estremisti e conflittua­li, e la Cariddi del candore, che ostacola all’atto pratico la condivisio­ne di responsabi­lità e diritti. Ciò di cui c’è bisogno è di un approccio proattivo al fenomeno migratorio che si focalizzi sui problemi di fondo. Questa sfida può essere vinta solo tutti insieme.

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