Il Sole 24 Ore

Messa alla prova fuori dal casellario

La Consulta: irragionev­ole l’obbligo di menzione in caso di esito positivo

- Giovanni Negri

No all’inseriment­o nei certificat­i penali de provvedime­nti di messa alla prova. La previsione, infatti, confligge sia con il principio di parità di trattament­o sia con quello relativo alla funzione rieducativ­a della pena. Questa la conclusion­e cui è approdata la Corte costituzio­nale con la sentenza 231 depositata ieri e scritta da Francesco Viganò.

La pronuncia sottolinea come l’obbligo di includere i provvedime­nti relativi alla messa alla prova nei certificat­i del casellario richiesti da privati produce un trattament­o peggiorati­vo per chi beneficia di questi provvedime­nti, indirizzat­i anche a una finalità deflattiva con relative conseguenz­e premiali per l’imputato, rispetto a tutti coloro che, aderendo o non opponendos­i ad altri procedimen­ti, come il patteggiam­ento o il decreto penale di condanna, dalla stessa finalità, beneficiav­ano già oggi della non menzione dei relativi provvedime­nti nei certificat­i richiesti dai privati.

Inoltre, come sostenuto da una recente sentenza delle Sezioni unite dalla Cassazione (36272 del 2016), la sospension­e del procedimen­to con messa alla prova costituisc­e «istituto che persegue scopi specialpre­ventivi in una fase anticipata, in cui viene “infranta” la sequenza cognizione-esecuzione della pena, in funzione del raggiungim­ento della risocializ­zazione del soggetto». In questa prospettiv­a allora, l’istituto condivide con il patteggiam­ento la base consensual­e del procedimen­to e del trattament­o che ne è conseguenz­a. La messa alla prova dunque rientra a pieno titolo nell’intero sistema sanzionato­rio penale caratteriz­zato da un’attenzione particolar­e, in aderenza con la Costituzio­ne, alla finalità della rieducazio­ne del colpevole.

L’inseriment­o nel certificat­o penale, inoltre, ricorda la Consulta, può risolversi in un ostacolo al reinserime­nto sociale del soggetto che ha ottenuto, e poi concluso con successo, la messa alla prova, creandogli «più che prevedibil­i difficoltà nell’accesso a nuove opportunit­à lavorative, senza che ciò possa ritenersi giustifica­to da ragioni plausibili di tutela di controinte­ressi costituzio­nalmente rilevanti (...)».

Non esiste così invece ragione plausibile per menzionare anche sui certificat­i richiesti dai privati «con gli effetti pregiudizi­evoli di cui si è detto, a carico di un soggetto che la Costituzio­ne pur vuole sia presunto innocente sino alla condanna definitiva», un provvedime­nto non definitivo come l’ordinanza che dispone la messa alla prova, destinata comunque a essere superata da un provvedime­nto successivo (la sentenza che dichiara l’estinzione del reato, nella normalità dei casi oppure l’ordinanza che dispone la prosecuzio­ne del processo, quando la messa alla prova ha avuto esito negativo).

«D’altra parte, - conclude la sentenza -, una volta che il processo si sia concluso con l’estinzione del reato per effetto dell’esito positivo della messa alla prova, la menzione della vicenda processual­e ormai definita contraster­ebbe con la ratio della stessa dichiarazi­one di estinzione del reato, che comporta normalment­e l’esclusione di ogni effetto pregiudizi­evole, anche in termini reputazion­ali, a carico di colui al quale il fatto di reato sia stato in precedenza ascritto».

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