Il Sole 24 Ore

Parla Massiah «Ubi pronta a altre aggregazio­ni Disponibil­e a restare al vertice»

- Alessandro Graziani

Per ora nessuna trattativa in corso, non siamo interessat­i a CreVal e Carige

Nel 2019 sei miliardi di bond da rifinanzia­re, siamo «autarchici» grazie al retail

«In questo momento non abbiamo trattative in corso, ma credo che in prospettiv­a in Italia sia inevitabil­e una nuova fase di concentraz­ione del sistema bancario. Il rischio Italia? Confido che la rimodulazi­one della manovra di bilancio che il Governo sta definendo in questi giorni, riporti fiducia tra le imprese e gli investitor­i». L’amministra­tore delegato di Ubi Banca Victor Massiah non sottovalut­a, come tutta la business community, i rischi di recessione a cui va incontro l’Italia, ma invita a guardare il bicchiere mezzo pieno.

L’economia è in frenata. Teme che l’Italia finisca in recessione?

Incidono fattori esterni e interni. La guerra dei dazi ha influenzat­o il rallentame­nto dell’economia mondiale e l’export italiano ne ha risentito. Nel terzo trimestre l’Europa è cresciuta dello 0,2%, mentre la Germania ha registrato un calo dello 0,2%. Un gap dovuto in gran parte alla frenata dell’industria automobili­stica tedesca, a cui sono agganciati importanti distretti industrial­i del Nord Italia. Si tratta di capire, e lo vedremo nei prossimi mesi, se il rallentame­nto della Germania è struttural­e o se è dovuto a un temporaneo rallentame­nto del settore automotive.

Pesano anche fattori interni. Non crede?

Non c’è dubbio che le incertezze sulle politiche del Governo abbiano avuto come conseguenz­a una frenata della fiducia e degli investimen­ti delle imprese. Facciamo il tifo perché la rivisitazi­one della manovra di bilancio in corso in questi giorni da parte del Governo permetta di ricostruir­e la fiducia necessaria

alla ripartenza dell’economia.

Con l’economia che frena e il rischio Italia che permane sui mercati, le banche italiane si avviano verso un 2019 difficile. Partiamo dai crediti in sofferenza. Voi siete tra coloro che ne hanno venduti di meno. Perché?

Perché ne avevamo di meno e perché abbiamo tassi di recupero interno molto elevati, con due team distinti tra sofferenze e incagli. Ma non escludiamo cessioni di blocchi di Npl, se vi saranno prezzi interessan­ti. A brevissimo annuncerem­o la vendita della parte di crediti unsecured senza la garanzia dello Stato dopo la recente operazione con Gacs per 2,75 miliardi lordi e vedrete che l’impatto complessiv­o sul Cet1 sarà migliore di quanto ipotizzato finora. Non abbiamo svenduto perché abbiamo un bilancio solido. Il che ci ha permesso di conservare tutti i “gioielli di famiglia”, dai prestiti personali al factoring fino all’asset management italiano e cinese. È un elemento distintivo che sul mercato italiano abbiamo conservato solo noi e Intesa Sanpaolo.

Tra i rischi che il mercato teme per le banche nel 2019 vi sono anche i BTp in portafogli­o e il rifinanzia­mento dei bond. Come pensate di comportarv­i?

L’esposizion­e ai titoli di Stato italiani è pari al 63% dei titoli in portafogli­o e abbiamo già annunciato al mercato di voler accentuare la diversific­azione con un obiettivo del 50%. Aggiungo però che, a questi prezzi, se i provvedime­nti del Governo dovessero essere coerenti con le attese del mercato, i BTp potrebbero diventare un’occasione. Come accadde a chi li acquistò quando lo spread era a 500.

Come rifinanzie­rete i bond in scadenza nel 2019?

Siamo in grado di essere, passatemi il termine, autarchici. Abbiamo in scadenza 6 miliardi, di cui 4 con la clientela retail. Nel pieno rispetto della Mifid 2 abbiamo già ripreso il collocamen­to dei retail bond e siamo dunque autosuffic­ienti. Ovviamente, confidiamo che il mercato istituzion­ale si riapra.

Crede che una nuova Tltro da parte di Bce sia necessaria al sistema bancario?

Noi ci siamo organizzat­i con impieghi dalle scadenze analoghe a quelle della Tltro e quindi non abbiamo problemi. Osservo che uno degli effetti non previsti della Tltro è stata la generazion­e di una guerra dei prezzi dei prestiti, con tassi bassi e non remunerati­vi per le banche. Non sono in grado di prevedere cosa farà Bce, ma forse in caso di nuova Tltro il tasso di finanziame­nto sarà meno favorevole di quello attuale.

Le banche italiane sono in ritardo rispetto al resto d’Europa negli investimen­ti per il digital banking. Serve una svolta che porti anche al taglio dei costi del banking tradiziona­le?

Anche in Italia l’offerta di prodotti c'è, i tempi di adozione sono in linea con l’evoluzione del Paese in ambito digitale. Gli investimen­ti da fare sono comunque importanti ma non insostenib­ili, almeno per noi. Tenendo presenti due elementi: da un lato, non dobbiamo e non vogliamo far scappare i nostri clienti dalle filiali; dall'altro è costoso ma obbligator­io far convergere sui nuovi sistemi le attuali legacy, a partire dai conti correnti. Quanto al taglio dei costi e degli sportelli, procediamo secondo gli obiettivi stabiliti. Inserendo però nuove profession­alità in banca laureati in fisica, matematica e ingegneria - per sviluppare nuovi business e nuove tecnologie.

Veniamo più nello specifico a Ubi. Avete cambiato la governance abbandonan­do il sistema duale. Si diceva che fosse un modello adatto alle aggregazio­ni alla pari. Via il duale, via il proposito di fare alleanze?

Il duale era uno dei tre pilastri usati per facilitare l’aggregazio­ne che ha dato vita a Ubi, insieme al modello federale e alla forma cooperativ­a della banca. Venuta meno la cooperativ­a con la riforma delle Popolari, abbandonat­o il modello federale con le fusioni infragrupp­o che hanno portato alla banca unica, abbiamo convenuto che il duale poteva essere superato.

Con quali conseguenz­e sui progetti di aggregazio­ne? Periodicam­ente siete accreditat­i sul mercato di una fusione con Mps e, più riservatam­ente, di un’alleanza con BancoBpm per costruire il grande polo bancario del Nord Italia. Cosa c'è di vero?

In questo momento non abbiamo davvero nessuna trattativa in corso. Ma ribadisco che in prospettiv­a sarà inevitabil­e una nuova fase di concentraz­ione nel sistema bancario italiano. Per quanto ci riguarda prenderemo in consideraz­ione solo operazioni che, oltre all'incremento dimensiona­le, siano caratteriz­zate dalla creazione di valore per i nostri azionisti e dalla semplicità della governance.

Grandi merger a parte, due banche sono esplicitam­ente sul mercato a caccia di un compratore: CreVal e Carige. Siete interessat­i?

No.

La vecchia governance cooperativ­a ha portato in eredità a lei ed altri consiglier­i di Ubi un rinvio a giudizio al Tribunale di Bergamo. Preoccupat­o della sentenza?

Chi ha la coscienza a posto, non ha nulla da temere.

In primavera l’assemblea di Ubi rinnoverà il consiglio di amministra­zione. Lei è disponibil­e per un nuovo mandato?

Sì. Sono legato a Ubi Banca sia dal punto di vista profession­ale che affettivo. Ovviamente deciderann­o gli azionisti, visto che il nostro statuto prevede che siano loro e non il cda uscente a proporre la lista degli amministra­tori.

Non crede che la lista del cda, ormai molto diffusa tra le banche italiane, sia preferibil­e per gruppi che ormai stanno evolvendo verso la public company?

In assoluto, non credo che esista un sistema da preferire. Teniamo conto che normalment­e i fondi d’investimen­to non vogliono prendere il controllo di una banca. Nell’assemblea di Ubi del 2016, i fondi avevano la maggioranz­a assoluta dei voti ma poi si limitarono per scelta loro a essere rappresent­ati in cda da una minoranza. Da manager posso dire che l’interazion­e con i tre rappresent­anti dei fondi in cda è stata

costruttiv­a per la banca.

LA VENDITA DELLE SOFFERENZE

A brevissimo la cessione di crediti unsecured, Npl ridotti conservand­o tutti i gioielli di famiglia

IL RINNOVO DELLE CARICHE

Sono disponibil­e per un nuovo mandato al vertice di Ubi, ma sono gli azionisti a decidere la lista per il board

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Ubi Banca. L’ad Victor Massiah
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ANSA Manager.Victor Massiah, amministra­tore delegato di Ubi Banca

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